Ma insomma, chi è questo Pasolini?
Perchè Pasolini avrebbe tentato di vuotare un registratore di cassa? Dirige film, scrive sceneggiature e romanzi e in questi anni è diventato ricco. Ci troviamo davanti ad un nuovo Villon o semplicemente ad un uomo perseguitato? Lo scrittore risponde alle domande del nostro collaboratore
Roma, dicembre
Non intendo parlare dello scrittore, del saggista, del poeta, per quanto in lui vita e letteratura siano così profondamente avviluppate, ma dell’uomo. In questi ultimi anni ce lo hanno di volta in volta descritto corrotto e corruttore, favoreggiatore di guappi e rapinatore a mano armata. Ci troviamo dunque di fronte ad un nuovo Villon?
Lo sto aspettando seduto su una delle poltrone color cenere del suo studio in via Giacinto Carini. Tarderà dieci minuti e mi hanno detto di ingannare il tempo leggendo qualcuno dei libri ammonticchiati sul suo tavolo da lavoro. «Faccia pure liberamente», ha aggiunto la piccola signora, indicandomi anche l’ampio scaffale che occupa tutta una parete. E se ne è andata.
Pier Paolo Pasolini è un camminatore instancabile e spesso proprio dagli incontri occasionali delle sue passeggiate solitarie nascono i personaggi e gli ambienti che ritroveremo nei suoi racconti. E’ nato a Bologna nel 1922, ma il suo mondo poetico e il suo linguaggio sono essenzialmente romani.
Metto le mani in quel guazzabuglio fatto di lettere, assegni circolari, copioni cinematografici; infilato sul rullo della macchina per scrivere c’è un foglio di carta che reca allineate una decina di righe: una poesia. Accanto altri foglietti anch’essi, pieni di versi corretti e scancellati. Quadri alle pareti, tendine di organza alla finestra che s’affaccia su un terrazzino. Tutto è lindo, tranquillo, in un certo senso, ordinato. Prendo un libro e mi siedo proprio mentre squilla il telefono.
«Oh, signora, sono giorni così diffìcili per lui e anche per noi, sa? — dice qualcuno che non vedo. — E’ brutto come la morte... ma abbiamo avuto anche molte soddisfazioni... telegrammi, lettere, telefonate di tanta gente per bene». La voce è addolorata ma ferma. Certo non deve essere facile attraversare tante bufere per la tranquilla e borghese famiglia Pasolini. I giornali sparano su quattro, cinque, sei colonne accuse infamanti e ogni riga è spesso carica di sottintesi, di odio, di insinuazioni. Immagino facilmente che cosa deve essere successo fra queste pareti la mattina del 30 novembre quando, aprendo i giornali, la madre e la zia dello scrittore hanno letto: «Pier Paolo Pasolini denunciato per tentata rapina a mano armata». E immagino l’ansia con cui hanno divorato le righe che riportavano il fatto, l’accusa del giovane benzinaro che asserisce di essere stato minacciato con la pistola da Pasolini perchè aveva tentato di impedirgli di svuotare il cassetto del registratore di cassa di uno spaccio di alimentari e tabacchi sulla strada che conduce a San Felice Circeo. Una accusa che lascia increduli per la sua enormità.
Le opere più note di Pasolini sono narrative: "Ragazzi di vita" che è del 1955 e "Una vita violenta" che è del 1959. Ha pubblicato però anche un volume di saggi intitolato "Passione e ideologia" e alcune raccolte di poesie, tra cui "Le ceneri di Gramsci" e "La religione del mio tempo". Pasolini vive con la madre ed una zia. Il padre era ufficiale dell'Esercito. Da ragazzo è vissuto nel Veneto con la famiglia
Perchè Pasolini avrebbe fatto tutto questo? Non certo per i pochi soldi che si potevano trovare in quel cassetto: dirige film, scrive sceneggiature e romanzi, le sue pagine sono contese dagli editori e dai giornali. In questi anni è diventato ricco. Il movente classico non può essere preso in considerazione. Qualcuno ha avanzato l’ipotesi del desiderio di una nuova "esperienza". Voleva vivere, registrare le emozioni che può provare un rapinatore? Pasolini come Villon, come Sachs, come Genet? Mah! Oppure, come sostengono altri, Pasolini vittima di uno psicopatico?
Certo, stando a quanto se ne sa finora, lo svolgimento dei fatti non è chiaro. Un ragazzo di 19 anni, Bernardo De Santis, dice che nelle prime ore del pomeriggio del 18 novembre si fermò davanti al suo distributore di benzina una "Giulietta". E che ne scese un uomo di aspetto giovanile, con occhiali neri, cappello e vestito scuro. Ordinò il pieno, e cercò di attaccare discorso. «Sta spesso solo qui?». «E’ sua quella moto?». «Ha mai partecipato a delle competizioni?». «Quanto guadagna?». «Come spende i suoi soldi?». Poi arrivò un’altra macchina. Il viaggiatore curioso spostò la sua di pochi metri e s’avviò verso lo spaccio di alimentari e tabacchi attiguo al distributore di benzina. Quelle domande e il suo modo di fare avevano destato dei sospetti nel benzinaro che, appena servito il nuovo cliente, si diresse verso lo spaccio e che cosa vide? L’uomo stava armeggiando intorno al registratore di cassa: il cassetto era già aperto. Allora lui, Bernardo De Santis, entrò, afferrò uno di quei lunghi coltelli, che servono per tagliare il salame, per la lama e cercò, con il manico, di colpire la mano del ladro. Colpo di scena: il ladro estrasse una pistola, gliela puntò sul collo, guadagnò l’uscita, e prima di chiudere dentro alla bottega il povero benzinaro pronunciò parole di minaccia: «Noi due ci incontreremo ancora e quello che non ho fatto oggi lo farò la prossima volta». Chiuse e se ne andò. Poco dopo il ragazzo fu trovato in comprensibile stato di angoscia dal fratello che lo portò dai carabinieri e gli fece stendere denuncia. Contro ignoti? No, contro il possessore dell’auto targata Roma 403362, cioè di Pier Paolo Pasolini.
Quando ha notato il numero della targa? Prima di entrare nello spaccio non aveva ragione di farlo: ci mancherebbe altro che un benzinaro notasse tutte le targhe delle macchine che sostano al suo distributore. Dopo? Ma non era chiuso dentro lo spaccio? E poi, perchè prese il coltello dalla parte della lama anziché rivolgere questa contro il ladro? C’è un altro particolare, anzi un’altra serie di particolari che contribuiscono a seminare dubbi su questa versione dei fatti.
Quando fu fatta la denuncia ai carabinieri? Da quello che se ne sa il De Santis si sarebbe presentato in caserma tre giorni dopo l’aggressione. Se è vero, perchè ha atteso tre giorni? E non è finita. Secondo quanto ha affermato lo stesso De Santis, il rapinatore sarebbe ritornato il giorno dopo alla stessa ora sul luogo del misfatto. Si sarebbe fermato, sarebbe sceso dalla macchina, avrebbe dato un’occhiata minacciosa alla sua vittima e sarebbe ripartito. La vittima in quel momento stava rifornendo di benzina un automobilista al quale avrebbe potuto benissimo dire: insegua quell’uomo che ha tentato di rapinarmi; Non lo fece. E ancora: tre giorni dopo il misfatto, Pasolini fu fermato proprio davanti al distributore e multato per eccesso di velocità da una pattuglia di carabinieri. Il De Santis non lo vide?
Insomma i conti sembrano non tornare esattamente. Qualcosa di strano serpeggia lungo tutta la versione del benzinaro. Comunque la sua denuncia mise in moto la polizia giudiziaria che non tardò a identificare il possessore della "Giulietta". Pasolini, interrogato, ammise di essersi fermato in quel posto all’ora indicata, di aver tentato di scambiare quattro chiacchiere con il benzinaro, di essere entrato nello spaccio per bere una Coca-cola o per acquistare sigarette, ma negò recisamente di aver attentato alla cassa, di aver minacciato il giovane con una pistola e di esser stato a sua volta minacciato con un coltello.
Bernardino De Santi è un giovane benzinaro di San Felice al Circeo che accusa Pasolini di un tentativo di rapina e di minacce a mano annata. Lo scrittore, pur ammettendo di essersi fermato al chiosco del De Santis e di aver parlato con lui, nega le accuse e le definisce assurde.
«O quel ragazzo ha sognato, o mi confonde con un altro oppure tenta, per motivi che riesco ad intuire, di montare uno scandalo sul mio nome» dice Pasolini.
«Non ci sarebbe motivo perchè Bernardino si inventasse una cosa simile. Non è un pazzo» risponde Benedetto De Santis, fratello della vittima.
«Il ragazzo, adesso che ci penso, mi sembrò un po’ strano, ombroso, potrebbe essere uno psicopatico» commenta Pasolini.
«Per caso non ha prestato la sua macchina a qualcuno quel giorno?» gli domandano i cronisti.
«No, lo escludo».
«E mentre era nello spaccio non è entrato nessuno?».
«Sì, un ragazzo, forse il garzone di un fornaio». Il ragazzo è stato rintracciato, si chiama Roberto Rizzi, ricorda di aver visto un signore dentro la bottega ma afferma di non essere in grado di identificarlo. Comunque in quel momento non stava facendo niente di male.
«Dopo l’interrogatorio dei carabinieri — dice Pasolini ai cronisti — credevo che tutto fosse sistemai». Invece... Ma se è vero che i carabinieri hanno creduto al sogno, frutto di una mente esaltata, più che alla parola di uno scrittore che dovrebbe essere degna di considerazione almeno quanto quella del De Santis... rinuncerò alla cittadinanza italiana».
«Ma non risolverebbe niente».
«Lo so, ma sarebbe pur sempre un atto di protesta».
Il rumore della chiave che entra nella serratura mi annuncia l’arrivo di Pasolini. Si scusa per il ritardo. E’ stato dall’avvocato che lo dovrà difendere da questa accusa se la Procura di Terracina non riterrà opportuno archiviare il "caso". «Come va?» gli domando.
«Come vuole che vada — risponde — mi fanno perdere un sacco di tempo e basta... se non altro, alla fine saranno riusciti a questo». Non è indignato nè innervosito, almeno in apparenza. Sarebbe inutile chiedergli di ripetere la sua versione dei fatti. Gli domando invece come spiega questo accanirsi della sfortuna sul suo capo. «Non lo so... in questi giorni ho ricevuto molte lettere. Ce n’è una nella quale forse c’è una risposta alla sua domanda», fruga sulla scrivania e mi porge un foglio di carta. E’ di uno studente milanese. «Sa perchè è facile attaccarla? Perchè lei è una delle poche persone che abbiano il coraggio di aprirsi. E’ quasi ingenua questa sua fiducia negli altri». «Ecco — prosegue Pasolini — questa potrebbe essere una spiegazione. Un’altra è che, proprio per queste ragioni, sono ricattabile».
«Come sarebbe a dire?».
«Voglio dire che, obbiettivamente, sono ricattabile per un insieme di cose, che sono inerme, aperto al ricatto».
«E perchè non reagisce?».
«Sono accuse che non devo prendere in considerazione».
«Ma potrebbe pur sempre fare qualche cosa contro questi attacchi».
«Certo, ma dovrei dedicare tutta la mia giornata a queste faccende. Non voglio, non mi va. Mi fanno già perdere tanto tempo... ma, nonostante tutto, in questi giorni ho scritto tre quarti della sceneggiatura di "Mamma Roma" che sarà il mio prossimo film».
«Lei pensa che questa campagna di accuse sia orchestrata?».
«Non so, non posso dirlo. Vedo che queste cose partono sempre dai giornali di estrema destra. Lo sa che su molti giornali è vietato fare il mio nome a meno che non si tratti di cronaca nera e di casi giudiziari? Lo sa che uno dei più diffusi quotidiani italiani non recensisce più i miei libri?». Ma io non ho mai fatto male a nessuno, nè fisicamente nè con i miei scritti... non so proprio spiegarmi la ragione di questo accanimento, di questo continuo linciaggio. Forse tutto dipende dal successo che i miei libri, il mio film, hanno avuto in questi anni. Sono convinto che se mi fermassi per un anno tutto si tranquillizzerebbe».
Il Testaccio, alla periferia di Roma, è, nel suo patetico squallore, uno dei paesaggi prediletti dallo scrittore. Dal romanzo "Una vita violenta" si sta realizzando in questi giorni un film.
«In genere queste campagne coincidono con l’uscita di un libro o del film?».
«Non vede che cosa sta succedendo a Bari per "Accattone"? E chi sono? I fascisti. Non si può certo dire che il film prenda di mira il fascismo. Ma loro si scatenano ugualmente. Perchè? Perchè sono uno scrittore antifascista? Ma anche Moravia, Levi, Pratolini, lo sono... si vede che io scrivo in maniera più dura e fastidiosa. Non credo che ci sia mai stato qualcuno preso di mira come lo sono io. Ma lo sa che a Roma c’è un tipo che si spaccia per Pier Paolo Pasolini? E un altro che dice di essere mio fratello, va dalle aspiranti attrici e si fa dare soldi promettendo parti nei miei film? Queste poi mi telefonano e domandano quando si comincia. Ma questo è ancora niente: ho saputo che una signora che abita in questo palazzo sta raccogliendo firme di "madri di famiglia" per farmi cacciare di casa... Che cosa vuole che le dica.... Giovanni Comisso ha una villa al Circeo e io vorrei comperarla. Bene, tutti quelli che hanno ville nelle vicinanze riempiono di lettere Comisso diffidandolo dal vendermi la casa».
La sua voce non sale mai di tono.
«Per fortuna — dice — non ho tendenze verso la mania di persecuzione se no a quest’ora sarei in manicomio. Per fortuna dimentico, riesco ad astrarmi da queste meschinità, a rimanere estraneo. Una volta un critico ha scritto che non si riesce a capire come io riesca a passare attraverso a tutte queste cose indenne come una salamandra. Per forza rinasco regolarmente... tutte le accuse che mi fanno sono false!... Comunque quando anche questa sarà passata voglio scrivere qualche cosa su tutte le mie esperienze giudiziarie di que-ti anni. È’ davvero agghiacciante lo stato di precarietà nel quale viviamo. Ne parlavo' l’altro giorno con il professor Camelutti e lui si meravigliava della mia meraviglia. Ma capisce che cosa vuol dire domandarsi ogni mattina: questa sera sarò qui, a casa mia, tranquillo? Non sarò caduto nelle mani di un pazzo o di un ricattatore?».
Franco Calderoni, «Tempo», anno XXIII, n.50, 16 dicembre 1961 - Fotografie di Paolo Di Paolo
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Franco Calderoni, «Tempo», anno XXIII, n.50, 16 dicembre 1961 - Fotografie di Paolo Di Paolo |