I sacrifici delle sorelle Schiaffino
Rosanna Schiaffino a in Jugoslavia, con la sorella par girare un film. Qualche notte fa hanno telefonato alla mamma, a Roma, per comunicarle: “Lavoriamo a 80 chilometri da Belgrado e manca tutto: pensa che dobbiamo lavarci con l’acqua minerale”
Roma, novembre
Uno dei problemi più ardui che ogni mattina devono affrontare gli organizzatori del film Un uomo facile è questo: come riuscire a svegliare Maurizio Arena. All’ora in cui comincia la lavorazione del film, il divo della Garbatella, stanco delle fatiche del giorno prima e di quelle della notte, dorme il suo primo sonno. A nulla valgono i richiami del suo domestico, segretario e amico d’infanzia Bruno Tocci. Il giovane divo si rivolta nei suoi lenzuoli rosa, e continua a russare. Quando finalmente si decide a comparire sul "set”, il pallore del suo volto tradisce una grande stanchezza. Ogni giorno di più, il lavoro e l’amore lo consumano. Alla fine del ’58. Arena avrà battuto un record: 12 film in un anno, e collezionato un numero incredibile di flirt. Giorni fa. dopo avere inutilmente provato tutti i sistemi, dalle lusinghe alle minacce, per far sì che egli giungesse in tempo al lavoro, gli organizzatori del film sono ricorsi a un metodo degno di un antico sultano. Gli hanno mandato a fargli la sveglia due giovani e graziose comparse.
Il cinema italiano, quello romanesco dei bulli di Trastevere. ha finalmente il divo che si merita: un tipo dai tratti popolareschi che, nella vita, si comporta esattamente come un personaggio dei fumetti. Arena possiede tre macchine, e spesso esce con due insieme (l’altra la guida il suo segretario); il suo modo più naturale di discutere è quello di allungare dei pugni; passa, indiscriminatamente, dalle braccia di una donna a quelle di un'altra. Nella casa dove abita, c’è una stanza riservata alle sue ospiti, tutta dipinta di rosa e arredata con mobili neri; quella in cui dorme lui, è invece nera con mobili rosa. Ormai nauseato dai troppo facili successi con le sue connazionali, Arena cerca l’avventura difficile; altrimenti, dice, il suo amor proprio ne scapiterebbe. Perciò tutti i nomi dei suoi ultimi flirto sono stranieri: anche il più recente, Katia Caro, un’attricetta francese che a dicembre compirà quindici anni.
«Io sono la Metro», ha detto il regista William Wyler rivolgendosi agli autisti del parco macchine del Ben Hur, «vi ordino di riportarmi a casa». Gli autisti si sono stretti nelle spalle: essi hanno l'ordine di obbedire solo al loro diretto superiore, e non conoscono altri santi. Così l’uomo cui la Metro ha affidato la responsabilità di molte centinaia di milioni, ha dovuto aspettare per due ore davanti a una lunga e inutilizzata fila di automobili. Non è questo l’unico segno che la grande "macchina" del Ben Hur comincia a scricchiolare. Dopo sei mesi di lavoro. tutti, attori e tecnici, ne hanno fin sopra i capelli e lo dimostrano da molti segni. Nei primi tempi, per esempio, i col-laboratori di Wyler erano addirittura terrorizzati da quest’uomo piccolo ed esigentissimo: ora si sono accorti che è notevolmente duro d’orecchi e gliene dicono di tutti i colori, sotto il suo stesso naso.
Il Ben Hur è un film interpretato quasi interamente da uomini: aitanti, larghi di torace, ben piantati. Questo fatto ha messo Bianca Lattuada in una situazione più volte imbarazzante. La sorella del regista Lattuada ha il compito, come direttrice del "cast” di ingaggiare i generici e gli attori minori. Nei primi tempi, essa si limitava a soppesare con Io sguardo gli aspiranti, e tutt’al più chiedeva loro di togliersi la giacca, per controllare l’ampiezza delle spalle. Ma un giorno Wyler le ha rimandato indietro, indignatissimo, un centurione romano. Toltisi i pantaloni e indossata la tunica, questo discendente degenere degli antichi romani si era presentato in scena con due gambe sottili a forma di x. Da quel giorno Bianca Lattuada. quando deve ingaggiare qualche nuovo attore, la prima coso che gli domanda, arrossendo fino alla nuca, è questa: «Per favore vuol mostrarmi un momento le gambe?».
Appostato dietro ai riflettori, con un chihuahua che gli sbuca dal risvolto della giacca e un pechinese che gli scalda i piedi, Xavier Cugat segue ogni giorno, minuto per minuto, la lavorazione del film Totò a Madrid. Quando una scena è finita, egli esce dall’ombra e accompagna Abbe Lane in camerino a riposarsi o a cambiarsi d’abito; e quindi la scorta, di nuovo, fino al teatro di posa. Insomma, non la lascia sola un istante. Più il tempo passa, e più Cugat diventa geloso di sua moglie. E’ una cosa comprensibile. ma prima d’ora Cugat era riuscito a conservare una certa nonchalance, che adesso va perdendo. Un mese fa egli tornò a Nuova York con Abbe. per l’inaugurazione di casa Cugat; ma Abbe era impegnata alla TV e la serata inaugurale fu rimandata al 6 di questo mese. Giorni fa, Xavier ha disdetto anche questa seconda data, perchè Abbe sarà occupata con il film fino al 20 novembre. Meglio rinunciare a qualche migliaio di dollari, è il suo nuovo slogan, piuttosto che lasciare sola una moglie giovane.
"IL VENDICATORE”, il film che Rosanna Schiaffino (alla sua seconda esperienza cinematografica dopo quella della "Sfida") sta interpretando in Jugoslavia, narra una vicenda ambientata nella Russia dei grandi proprietari terrieri. Protagonista maschile del film, diretto da William Dieterle, è l’attore americano John Forsythe, qui con la Schiaffino in un’agitata scena.
Nel film, oltre Abbe Lane, lavorano Totò e Mario Carotenuto. Da qualche tempo, Totò è ossessionato dalle tasse. Per sfuggire alle grinfie del fisco, il popolare attore ha deciso di vendere tutte le sue proprietà e di ritirarsi a vivere in albergo. "Ecce homo", potrà cosi gridare agli agenti del fisco; e alla voce "proprietà immobiliari" scriverà "nullatenente". Per la prima volta, da quando ha cominciato ad occuparsi di cinema, la signora Schiaffino non ha seguito la lavorazione di un film di sua figlia. La ragione di questa inconsueta diserzione della madre più agitata del cinema italiano, è molto semplice: non ce la fa più. Tre anni di battaglie, di contratti con i produttori, i fotografi, i giornalisti, i registi, tre anni di viaggi, di festival, di cocktail, di prove di vestiti, hanno fiaccato la sua salda tempra di genovese. Un mese fa, la signora Yasmine sveniva ogni tre ore. «Creare una attrice — dice — è più faticoso che partorire». Soprattutto quando si sono compiuti sessantanni. Ora che la sua opera è compiuta, ha deciso quindi di concedersi un breve, meritato riposo. A Belgrado, dove Rosanna sta girando Il vendicatore, ha mandato a farle compagnia, l’altra figlia. Naturalmente, madre e figlie si scrivono tutti i giorni, e spesso si telefonano. Alle 2 di notte, la signora Schiaffino ha ricevuto, sere fa, una telefonata che l’ha fatta piangere. «Lavoriamo a 80 km. da Belgrado — le ha detto Rosanna — manca tutto, perfino l’acqua; pensa, mamma, che dobbiamo lavarci con la minerale».
Franco Interlenghi ha compiuto un raid automobilistico di 1500 chilometri per giungere in tempo alle prove di "Canne al vento”, il romanzo sceneggiato tratto dal libro della De-ledda. L’attore si trovava a Belgrado, con la moglie e la figlia per il film Délit de fuite, quando ha ricevuto da Roma un telegramma. «Domani è l’ultimo termine utile per iniziare le prove». Interlenghi ha sempre avuto il pallino delle corse. Alle 7 di mattina è salito in macchina, e alle 4 di notte era a Roma; alle 10 si presentava agli studi di via Teulada. L’unica sosta, dopo dodici ore di viaggio, l’ha fatta a Bologna, dove ha schiacciato un pisolino. Molto breve. Un passante l’ha riconosciuto e l’ha svegliato per avere un autografo.
Stelio Martini, «Tempo», anno XX, n.48, 25 novembre 1958
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Stelio Martini, «Tempo», anno XX, n.48, 25 novembre 1958 |