La magia riunisce Federico Fellini e Giulietta Masina

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Per la prima volta, in questa intervista, il popolare regista ha illustrato la trama di “Giulietta degli spiriti”, il film che vedrà, dopo “Le notti di Cabiria” Giulietta Masina ritornare al lavoro sotto la direzione del marito

Roma, febbraio

Candidamente innamorato del suo lavoro, Federico Fellini soffre a sentir parlare di crisi. Se domandate la sua opinione sul disagio che sovrasta il cinema italiano, udrete non generiche dichiarazioni ottimistiche. ma una diagnosi ragionata. Il cinema è sempre stato dato per morto, sempre risuscitando. Il fenomeno non dovrebbe sorprendere gli osservatori; si inserisce in una tradizione per cui si è quasi propensi ad accettare con gioia i suoi periodici seppellimenti perchè l’esperienza insegna che gli giovano molto. Una volta a terra — o sotto terra — il nostro Anteo riprende a lottare con più forza o almeno con più consapevolezza. La verità scaturita da tante morti e rinascite, è per Fellini questa: il cinema può resistere a tutto fuorché alla volontà di chi, con stupido cinismo gli si accosta senza fiducia. Anche quando ricevono il plauso universale, molti produttori continuano a porsi di fronte al cinema con un atteggiamento che Fellini definisce "torpido, qualunquistico, opaco, tripparolo”. Con lo stesso spirito con cui trattano un’operazione di borsa, essi cercherebbero soltanto il successo finanziario, l’amicizia delle dive, anche le più capricciose, l’ossequio dei registi ai quali nei casi migliori, accordano una "paternalistica condiscendenza” e nei peggiori la diffidenza che riserverebbero a un ciarlatano o a un imbonitore con grancassa”.

Un tempo quando il pubblico amava stare insieme, sentirsi toccare i gomiti, e non poteva fare a meno della dose giornaliera di spettacolo, di spettacolo elementare, improvvisato, i produttori potevano non occuparsi di problemi artistici. Ma oggi il pubblico diserta i cinematografi. Non parliamo di crisi, per carità. Diciamo semplicemente, invece, che il pubblico è annoiato o perlomeno si è distratto, e non trovando nelle sale buie quel che cerca volta le spalle e va altrove, o se ne sta a casa e guarda il televisore. Non bastano due o tre buoni film a far primavera. E’ il pubblico che è confuso, che è incerto, che non sa bene cosa vuole, ma conosce ormai bene ciò che non vuole più, si allontana; e richiamarlo è assai difficile, «La fase della meraviglia — dice Fellini — è finita. Sere fa, dopo molto tempo, sono andato al cinema a vedere Gli uccelli di Hitchcock. La sala era vuota; mi sono ricordato come fossero stipate le sale un tempo. Avevo lasciato sale zeppe in cui aleggiava un fumo denso e in cui si avvertiva quasi il respiro di una bestia. Di fronte a quel film apocalittico, denso di simbologie sinistre, mi sembrava di assistere a un vecchio rituale di una civiltà di cui è rimasta soltanto qualche vestigia.

E’ chiaro che oggi tutto è mutato; i produttori hanno un compito più scabroso, per cui occorrono arti nuove, invenzione, agilità di mente. Invece, mentre possiamo fare i nomi di dieci registi formati e affermatisi nel dopoguerra, non J possiamo fare i nomi di dieci produttori. Mentre il cinema ha creato e nutrito dieci autori, non è riuscito a creare nuovi industriali. Di uno si è portati ad ammirare l’entusiasmo, di un altro le velleità culturali, ma il vero produttore, il produttore completo che sappia interpretare le esigenze del nuovo pubblico mi sembra non sia ancora apparso all’orizzonte».

Assurto a consacrazione internazionale da molti anni, Federico Fellini porta addosso una patina vorrei dire "storica", simile a quella che incrosta gli antichi monumenti di bronzo. Ha cominciato troppo presto. E’ celebre da anni molto lontani, ha dietro le spalle un passato incredibilmente lungo. A guardarlo da vicino, mentre conversa pacatamente, si avverte distintamente che la giovinezza di Fellini ha un peso arcaico. Il suo volto, sul quale i segni della maturità non si presentano appena, appare come un pezzo da museo. Nello aspetto di Fellini c’è qualcosa di illusorio; sembra un vecchio ringiovanito, grazie a un sortilegio. E’ una condizione strana, forse acre e non sorprende che il regista dopo Otto e mezzo si appresti a realizzare un film sulla magia. I lettori non digiuni di minuzie cinematografiche sanno da tempo che Fellini prepara un altro film "misterioso". Non se ne conosce il soggetto e neppure il tema. Sino a qualche mese fa il titolo era Giulietta degli spiriti, forse Nove e mezzo. Quali i motivi di questa segretezza? Per questo suo fornicare con le grazie della complicazione. Fellini è spesso accusato di essere una sorta di "persuasore occulto" del mondo cinematografico, un regista del consumo abile nel suggestionare il consumatore e influenzarne la condotta. Devo confessare che Fellini durante la conversazione è molto chiaro; non è necessario fare sforzi per decifrare il senso riposto delle sue frasi. Volendo confidarvi le opinioni sul cinema contemporaneo non parla di "sintassi morale”, di "problematica al limite del possibile", di "indifferenza metafisica ed altre cose similmente ermetiche e difficili. Rispondendo alle domande correnti di un cronista, Fellini non dà mai la sensazione di rispondere alla Storia o all’Eternità. Quante volte ci è capitato di chiederci ascoltando un regista italiano: «È’ un cineasta o un filosofo o un Socrate della celluloide?».

1964 02 15 Tempo Masina Fellini f1Federico Fellini sulla spiaggia di Fregene dove, turista fuori stagione, si è rifugiato per mettere a punto il copione di "Giulietta degli spiriti", il film con cui si prepara a ritornare al lavoro dopo il successo internazionale di "Otto e mezzo". Secondo le stesse rivelazioni del regista, "Giulietta degli spiriti” sarà «uno sfogo gioioso dell'irrazionale, un film in bilico tra il carattere magico e quello fantascientifico». Forse il film verrà girato in parte a colori.

Con Fellini non accade alcunché di analogo. Egli sembra soltanto impegnato a spogliare le sue opere di tutte le intenzioni remote, le segrete indicazioni che molti esagitati incensatori hanno loro attribuito al punto di conferirgli la dignità di alti messaggi rivolti al mondo contemporaneo. C'è già chi carica il nuovo film che egli sta preparando di significati indecifrabili, mentr’egli sembra soltanto intento a fare solo e niente altro che un film; cioè un prodotto che possa restituire con i dovuti utili ai produttori i milioni investiti. Giulietta degli spiriti, perchè tale sembra sarà il titolo del film, non sarà propriamente un film sulla magia, ma un film magico. «E’ un film per Giulietta — ci spiega Fellini — in cui dovrò soprattutto dimenticare la stilizzazione di personaggi come Gelsomina e Cabiria. Giulietta è un’attrice che suggerisce un certo ritmo, uno stile che tende alla caratterizzazione; ma è soprattutto un personaggio chiave che mi consente di raccontare in maniera visionaria le mie fantasie; è una immagine che condiziona un tipo di paesaggi, di situazioni che con una altra attrice non saprei raccontare». Attribuito questo blasone alla moglie, Fellini chiarisce che questo film sarà completamente libero da ogni impostazione psicologica, da ogni legge narrativa; una sorta di caleidoscopio che dia una visione magica della vita. Una visione a colori e "atrocemente buffonesca” con Giulietta che sarà una "sensitiva”, una donna soggetta, come una veggente o una medium, a misteriose forze occulte. Il meccanismo della magia è quello che riveste di cristalli iridescenti, facendolo sembrare sempre più meraviglioso, il mondo reale e il mondo favoloso.

Secondo una lucida immagine di Stendhal, Giulietta sarà un semplice rametto immerso nelle saline di Salisburgo; un processo che riveste la semplice realtà del fascino abbagliante della fantasia. Animali, piante, personaggi veri e personaggi fiabeschi, cavalieri antichi e dischi volanti assumeranno nel film una consistenza e un risalto reali. Insomma, sarà una sorta di fuga visionaria, un evasione fiabesca dalla realtà. Fellini porrà a tema della sua narrazione il rapporto con la realtà e il favoloso, ma non come un favoliere che fugge nella stratosfera per i buchi del sogno. Darà libero sfogo al suo estro per creare una favola moderna in cui confluiranno tutte le curiosità che sin da ragazzo ha provato per i lati surreali della vita. Convinto che questa sia la strada da battere, cioè la strada dell'antirealismo, Fellini attende alla stessa svolta molti suoi colleghi che sino ad oggi hanno professato il più assoluto ossequio verso la narrazione realista. E nota un risveglio di queste tendenze in tutte le arti; è sicuro che dagli irrigidimenti realisti presto si libereranno anche i registi marxisti.

Ecco come Fellini definisce il film che sta per dirigere: «Uno sfogo gioioso dell’irrazionale. Un film che sia in bilico tra il carattere magico e quello fantascientifico amalgamandoli. Vorrei riuscire a far ritrovare allo spettatore la suggestione della sua fantasia di ragazzo, prima che quel mondo meraviglioso venisse logorato in ciascuno di noi, dall’intelligenza logica e razionale». Fellini non identifica lo stato di giovinezza con l’età del sogno; i ragazzi sono semplice-mente in grado di vedere il meraviglioso. Giulietta conserverà nel film quel contatto nudo e fresco con il mondo proprio dei giovanissimi. Episodi tra i più bizzarri, cronache, fenomeni divertenti e extrasensoriali sono stati accuratamente studiati da Fellini per il quale il passaggio, l’urto tra lo stato di giovinezza e quello adulto, non è quello di un risvegliarsi da un sogno alla dura realtà, ma piuttosto un assopirsi della realtà vera e meravigliosa che solo la libera fantasia può risvegliare. In altri termini Fellini rimane sempre un realista che va a caccia in una realtà più nascosta e favolosa.

Per riprodurre questa realtà favolosa, Fellini pensa che il suo film dovrà essere a colori. «La storia — dice — è nata praticamente a colori. Può darsi tuttavia che alla fine decida di girare il film in bianco e nero. L’uso del colore comporta una serie di problemi che possono diventare fatalmente dei trabocchetti. Io tendo sempre a sdrammatizzare l’aspetto tecnico; temo che decidendomi a girare a colori finirei per cadere in mano a persone molto più ignoranti di me in questo campo che spacciano però tracotantemente la loro esperienza e la loro preparazione».

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Può darsi, dunque, che Giulietta degli spiriti sarà a colori, ma può darsi anche che sarà in bianco e nero. Fellini dice di voler sottrarsi alla schiavitù del mezzo tecnico e di non credere al "miracolo dell’obiettivo”. «L’obiettività della macchina da presa è un equivoco. La macchina da presa non può proiettare da sola tutti i dubbi morali dell'uomo sullo schermo, senza il tramite dell’artista. I tenaci assertori del realismo altro non vogliono in verità che la totale spersonalizzazione dell’artista». A questo punto potrebbe cominciare un discorso più vasto poiché Fellini sostiene che la separazione tra il mondo reale e il mondo inventato in omaggio all’estetica neorealista è valsa soltanto a creare confusione. ad arrestare il libero svolgersi di personalità contro le quali, non appena tentavano la fuga per la tangente della fantasia, veniva lanciato l’anatema. E’ un equivoco estetico nato da ragioni politiche. Ora questa barriera è caduta e Fellini con una punta di vanteria ricorda di essere stato tra i primissimi a ribellarsi alla schiavitù dell’oggettività, del realismo ad ogni costo. «Questa esigenza di disancorarsi da rigidi schemi realistici è avvertita ovunque. Me ne sono accorto a Mosca dopo la presentazione di Otto e mezzo. Mentre le immagini si sdipanavano sullo schermo alla presenza di ventimila persone, mi sono reso conto che il film veniva capito; quando poi mi assegnarono il primo premio del Festival mi accorsi che nella sala c’era un clima acceso di battaglia». Otto e mezzo è forse la quintessenza di quelle posizioni ideologiche che sono state ufficialmente condannate in URSS. L’attribuzione del premio al film di Fellini è un atto importante di disgelo.

Un seguito di episodi, e una parallela catena di sensazioni inducono Fellini à paragonare Mosca, come clima umano, alla sua Rimini. «Per le strade mi sembrava di incontrare facce amiche. Per un provinciale come me essere a Mosca non ha mai dato la sensazione di essere all’estero, ma nel seno della mamma. I registi che ho conosciuto a Mosca mi sembravano compagni di scuola. M’è parso di capire che i tre popoli che hanno tra loro molti punti di contatto sono i russi, gli italiani e gli indiani. Insieme formano un terzetto di popoli saggi».

Otto e mezzo è servito a Fellini per fare alacne verifiche. «Dopo il film ho nuove amicizie, ma ne ho anche perdute molte, soprattutto quelle basate sull’equivoco. Molti pensano che con Otto e mezzo io abbia esaurito tutto me stesso. Io penso di aver fatto un film liberatorio ma di non essermi svenato». C’è da credergli, perchè Fellini sembra possedere le chiavi più clandestine dell’elemento umano.

Maurizio Liverani, «Tempo», anno XXVI, n.7, 15 febbraio 1964


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Maurizio Liverani, «Tempo», anno XXVI, n.7, 15 febbraio 1964