Peppino De Filippo più festeggiato di Shakespeare
De Filippo, che ha rappresentato l’Italia alle celebrazioni del sommo drammaturgo inglese, ha messo in scena uno stravagante «pastiche», riscuotendo uno dei più clamorosi successi della stagione, uguagliato solo dagli spogliarelli di Ofelia e Lady Macbeth
Londra, maggio
L'Inghilterra onora Shakespeare nel quattrocentesimo anniversario della nascita con impegno e fervore, dopo una preparazione durata due anni. Le celebrazioni hanno avuto inizio con la fine del dicembre scorso, dureranno tutto il 1964. Nel vasto programma di festeggiamenti, conferenze, spettacoli, programmi televisivi, mostre, emissioni di francobolli, films eccetera, le rappresentazioni teatrali fanno, ovviamente, spicco. Al Covent Garden, le tre opere scespiriane di Verdi: Macbeth, Otello, Falstaff, e un trittico di balletti. I consensi della critica sono andati in particolare al nostro Tito Gobbi, coloritissimo Jago.
La Royal Shakespeare’s Company dopo nove settimane al-l’Aldwich Theatre (Re Lear e La commedia degli errori) è partita per un giro in 40 nazioni (Europa orientale, Canadà, Stati Uniti). Un’altra compagnia, la Bristol Old Vie, porterà in dodici paesi dell’Europa mediterranea Enrico IV. La New Shakespeare’s Company reciterà La Tempesta e il Riccardo
II nelle capitali del Medio Oriente. Un diverso complesso, dopo aver «fatto» l’Est asiatico, dall’Afganiotan all'India, a-prirà in Australia il festival di Adelaide. Sir Ralph Richardson metterà in scena in otto nazioni del Centro e Sud America il Sogno di una notte di mezza estate e il Mercante di Venezia.
A Stratford-on-Avon, patria natale del poeta, la Royal Shakespeare’s Company sta recitando tutto il ciclo cosiddetto della «guerra delle rose»: dalla tragica debolezza di Riccardo II alle grottesche scenate di Falstaff nelle due parti dell’Enrico IV; dall’impero costruito da Enrico V alle violenze belliche dell’Enrico VI e di Edoardo IV fino alla crudele tirannia di Riccardo III: sette lavori, oltre un secolo di storia britannica. Accanto al teatro, sulle rive dell'Avon, proprio di fronte alla chiesa dove si presume sia stato seppellito il «Gran Bardo», il principe Filippo ha inaugurato una grande mostra dedicata «alla vita e al tempo di Shakespeare» (250 mila sterline di spesa): è previsto l’afflusso di almeno un milione di visitatori in gran parte attratti oltre che dalla mostra e dagli spettacoli diretti da Peter Hall, dalle improbabili reliquie di cui Stratford-on-Avon fa discreto ma redditizio commercio: la casa natale di Shakespeare, di sua moglie, di sua figlia, la scuola dove avrebbe studiato, la dimora dove sarebbe morto, eccetera.
L’ora degli italiani
Sir Laurence Olivier ha interpretato per la prima volta nella sua carriera Otello, dandone una interpretazione che i critici più esigenti non hanno esitato a definire «mirabile». Lo spettacolo si replica nel vecchio Old Vie, vicino al ponte di Waterloo, a teatri esauriti con le poltrone in borsa nera a 50 sterline l’una! Sala esaurita anche in un teatro molto più modesto ma non meno popolare, il Casino de Paris, dove si celebra Shakespeare con uno spettacolo di spogliarelli. Lo spettacolo si Intitola Come ti piace e consiste in una serie di «sintesi mimate» piuttosto gustose in verità: da Giulietta e Romeo a Lady Macbeth, da Porzia a Ofelia, al Re Lear fino all’Enrico V. Ragazze per tutti i gusti, bionde, brune, magre e procaci, fini e sguaiate, recitano (bene), cantano in chiave parodistica (benissimo) e si spogliano (male), gettando in pasto agli spettatori, sull'orlo dell’infarto, sinanco quel piccolissimo «puntino» che le più rinomate spogliarelliste di Parigi, dalla Re-noir alla Cadillac, conservano a mo’ di estrema difesa del pudore.
È dunque in piena «contaminano» che Shakespeare viene celebrato: rievocazioni togate e spogliarelli, «truffe storiche» per. le attrazioni turistiche, conferenze, ma un po’ tutti i giornali hanno osservato come questa gioconda e spesso mercantile atmosfera, al poeta non sarebbe dispiaciuta, lui che fu un uomo, per quel che se ne sa, animoso, amante della vita, della buona tavola, delle donne: «la sua universalità consiste appunto nel suo amore per il mondo in tutti i suoi molteplici aspetti».
In questa atmosfera si sono succedute lietamente, a teatri esauriti, le repliche del più stravagante «pastiche» cui gli inglesi abbiano mai assistito da almeno cinquanta anni a questa parte: Le metamorfosi di un suonatore ambulante, farsa in un prologo e sei scene divisa in due parti, scritta, musicata, diretta e interpretata da Peppino de Filippo. La veneranda sala dell’Aldwich Theatre è stata trasformata da Peppino (che rappresentava ufficialmente l’Italia alle celebrazioni shakespeariane) in un ribollente catino di risate per tredici sere consecutive, con due spettacoli al sabato.
Si deve all’ostinata fede in Peppino de Filippo, di Laura del Bono Stainton e di suo marito Neale, due benemeriti del teatro di prosa, se l'attore napoletano ha recitato a Londra e, per di più, in tanto impegnativa occasione.
Mai come in questo momento l'Italia è di attualità in Inghilterra: la visita del primo ministro Moro dà occasione ai politici e ai commentatori di sotto-lineare l'importanza dell'attuale nostra formula governativa, la congiuntura economica è oggetto di studi frequenti e di ottimistiche previsioni. I muratori italiani di Bedford vengono additati a esempio, sono l’unica comunità straniera a non aver mai dato grane alla polizia, offrono uno spettacolo di civile saldezza morale e di operoso impegno. New Society ha scritto che i nostri operai venuti dal profondo Sud hanno portato un soffio di aria nuova in Inghilterra meritandosi la stima e l’affetto della popolazione locale già prevenuta nei confronti dei «lavoratori stranieri». Oggi a Bedford l’italiano è la lingua più parlata, le banche espongono cartelli in cui si legge: * avviso ai nostri clienti»; le insegne di «pane e pasta», «barbiere», «sarto per uomo e per donna», «salumeria» sono numerose quanto in Campo dei Fiori, a Roma. In-somma, «gli italiani hanno successo», come ha scritto un diffusissimo giornale della sera: e in tutti i campi.
«Un fantastico attore!»
Han successo De Filippo e Tito Gobbi, ha successo il ristorante «La Terrazza» dove prendono i loro pasti magnati dell’industria e artisti, Peter O’ Toole e Peter Finch, lo stesso Olivier e uomini di governo. Ha successo Enzo Apicella, uno di quei napoletani che somigliano a certi gentiluomini inglesi un po' sordi ma donnaioli, vignettista dell’Economist e ricercato arredatore di grandi locali: dal «Tiberio» fatto con pietre venute dal Vesuvio, al «Gattopardo» per il quale sono stati messi in croce i più forniti antiquari siciliani. Ha successo Ubaldo Cianfanelli la cui fidanzata, giovane, dolce e innamorata, continua a dir di no, imperterrita, a fior di registi: ultimo della serie Alain Resnais volato apposta a Londra (e tutti, naturalmente, lo sanno), per vederla. Ha successo Germano Facetti che ha rivoluzionato i benemeriti «Pen-guin’s Books» facendone salire la vendita, ha successo Alfredo Pieroni, corrispondente di un grande giornale italiano, collaboratore della più autorevole rivista inglese di politica estera, che continua a dir di «no», garbato ma irremovibile, a una delle più ricche ereditiere del mondo. Ha successo oggi più che mai Charles Forte già boxeur e oggi proprietario di tre catene di ristoranti e di non so quanti alberghi e locali di lusso. Ha successo Arpino con la traduzione della Suora giovane, ha successo Sofia Loren (i soldati portano la sua fotografia nell’interno dei berretti), ha successo Fellini.
Si potrebbe continuare all’infinito, ma torniamo a Peppino de Filippo, alla sua «consacrazione londinese». C’era molta attesa, e non è andata delusa, per il suo debutto, anche se qualche critico non ha nascosto una certa delusione: si attendevano uno spettacolo legato alla commedia dell’arte, invece hanno visto una farsa connessa con la tradizione farsesca del tardo Ottocento. L’equivoco è nato dal fatto che in tutte le presentazioni era scritto come la commedia di De Filippo fosse derivata da uno spunto tipico della commedia dell’arte.
«Una cosa è lo spunto», rispondeva Peppino, «una cosa è la estrinsecazione scenica, lo non ho mai preteso di fare la commedia dell’arte. Magari! Mi son servito di uno spunto vecchio quanto il mondo, e quindi caro ai sublimi guitti della commedia dell’arte, per ricavarne una commedia intenzionalmente ottocentesca, ambientata nella Roma pre-garibaldina pregna di influenza francese. Mi dispiace che l’illustre critico del Times sia rimasto deluso, ma non è proprio colpa mia!».
Attore ricco di comunicativa quant’altri mai, fuor dal palcoscenico Peppino appare timido e introverso, tormentato. Al contrario, suo figlio Luigi, cosi delicatamente sommesso sul palcoscenico, raffinato, nella vita è un vulcano. La critica ha esaltato la «vis comica» di Peppino, attore pateticamente metafisico e insieme aggressivamente plebeo, addirittura aristofanesco in determinati momenti. ma non è stata avara di rtei riguardi rie) figlio Luigi, della bravissima Lidia Martora, della travolgente Dori Cei, della intelligente soavissima Lia Rho Barbieri, del gustoso Enzo Petito, del buon Giacomo Rondinella che canta da par suo dolcissime canzoni, della pepatissima Angela Pagano conquistatrice di convinti applausi a scena aperta.
Alla «prima» c’erano i duchi di Gloucester che rappresentavano Sua Maestà e ridevano fino a soffocarsi. Anche se Peppino fosse rimasto due mesi, non avrebbe potuto far fronte a tutti gli inviti ricevuti durante la sua permanenza a Londra.
Harry Secombe, uno dei tre famosi «goons» ( Secombe, Peter Sellers e Spike) ha dato una cena al Pickwick Club in onore di Peppino e Lidia Martora. C’erano anche i famosi Uta Hagen e Arthur Hill, le due stelle americane di Chi ha paura di Virginia Woolf. E dicevano a Peppino «grande, fantastico, attore autentico» e faranno di tutto perché vada a Broadway. Harry Secombe vuol fare «almeno un film» con Peppino. E un altro ne vuol fare Nigel Patrick, attore popolarissimo in Inghilterra. Alto, turrito, munito di un paio di famosi favoriti, ha improvvisato con Peppino una scena comica nel corso di un ricevimento trascinando 1 presenti all'applauso. Frankie Howerd, interprete di un «musical» basato su Plauto (sei mesi di successo, posti prenotati fino a Natale), Peter Finch, sir Laurence Olivier, Peter Hall hanno avuto per Peppino de Filippo espressioni di sincera ammirazione, perfino di entusiasmo. E Peppino?
«Sono felice», diceva compunto. «Il nostro è un mestiere duro, ogni volta è come ricominciare da capo. Ma qui è stato terribilmente facile. Fin dal primo momento la mia compagnia è stata circondata da affettuoso cameratismo, poi il mio successo è diventato ”la loro” gioia. Cose da pazzi! E che pubblico! Freddi gli inglesi? Ma non diciamo fesserie! Nessuno più del pubblico inglese ”si dà" al teatro quando lo spettacolo lo soddisfa: urla, applaude, batte i piedi, chiede bis a non finire. Una meraviglia per l’attore. E i teatri? Vecchiotti, come il nobile Aldwich, con molta peluche, a forma tondeggiante come la famosa sala a O di Shakespeare, dove l’atmosfera c’è, o si fa presto a crearla. Io qui ci torno, altro se ci torno!».
La gioia della verità
A vederlo cosi piccolo e infervorato, visibilmente commosso eppur contegnoso nella sua maschera dolorosamente grottesca, vengono in mente queste parole di Federico Fellini: «... la prima volta che ho visto recitare Peppino è stato nel 1937. Era sul palcoscenico del teatro Argentina, a Roma, e io ero in platea, una platea nereggiante di spettatori in divisa fascista. C’era stata, quel giorno, una trionfale cerimonia del regime, Roma era piena di gagliardetti, di bandiere, di alto-parlanti inneggianti al nostro impero, di combattenti centenari, di bambini pressoché lattanti In uniformi guerriere e cani multo fieri che frugavano a coda dritta tra i mucchi di manifestini patriottici lanciati a migliaia dagli aerei. Anch’io, giovanissimo, credevo in questo impero ed ero entrato a vedere Peppino per la prima volta, non sapendo niente di lui né del suo teatro. Il suo spettacolo fu in un certo senso la mia caduta sulla via di Damasco. In platea c’era della gente che fino a poche ore prima aveva sfilato, marciato, cantato gli inni della rivoluzione fascista, inneggiato al duce, ai destini di Roma, alle aquile imperiali, al "sole che sorge libero e giocondo”, ai colli fatali, alla grandezza eterna dell’urbe mai doma, una platea di legionari insomma che, ancora una volta durante tutto il giorno, si era sentita potentemente inserita nella storia ed era decisa a determinarne le svolte future.
«Sul palcoscenico, invece, c’era un altro tipo di italiano che con la sua sola presenza smentiva inesorabilmente e senza speranza ogni sogno di grandezza della platea. Era Peppino, nel suo personaggio. Bastava quella sua camminatina con le mani in tasca per capire di colpo che le marce della mattina, le parate trionfali col passo dell’oca, non poggiavano su basi serie. Bastava il suo sguardo pieno di scetticismo irriducibile, biologico, per capire che le nostre fantasie erano sbagliate, nemmeno ridicole ma fuori di ogni nostra realtà. Le sensazioni che suscitava in me Peppino quel giorno lontano: sensazioni di una nuova verità che mi colpivano per la prima volta e che mi facevano intravvedere sotto un falso volto quello molto più amabile, antico e vero, dell’ltaliano del Sud che Peppino, nelle sue commedie, sul suo palcoscenico, raccontava senza pietà, senza sentimentalismi, senza nessuna retorica. Egli rappresentava in quel momento ciò che noi abbiamo di più antico e di più vero, la nostra capacità di guardarci per quello che siamo. E insieme a lui veniva alla ribalta un paese autentico, con il suo dolore, la sua ignoranza, la sua saggezza, il suo modo di voltare le cose troppo tragiche in un gioco continuo di rimproveri e di fiducia irrazionale nell’indomani.
«Il fatto è che ritroviamo sul palcoscenico nostro zio, nostro padre, i cugini, e tutto il catalogo delle nostre conoscenze infantili, le donne che ci hanno fatto sognare, gli odori, perfino il sole fatto coi riflettori, gli stessi mobili, quegli affannosi pomeriggi estivi, quei vuoti della vita che ci hanno fatto come siamo. Per questo amo Peppino, il suo teatro, il suo palcoscenico, l’aria di attesa infantile che si crea in platea quando lui sta per entrare in scena, lo penso che dovrebbero amarlo e capirlo dappertutto, in qualunque paese, per la gioia, la verità che ci regala ogni volta».
Questo discorso, tipicamente felliniano, ci dà la chiave per capire «come e perché» Peppino abbia avuto successo a Londra recitando una commedia che non è una commedia, in una lingua che è soltanto sua, entusiasmando pubblico e critici fra i più esigenti. Il miracolo della sua bravura al chiama «verità», il varco che apre la strada alla poesia.
Igor Man, «La Settimana Incom Illustrata», 10 maggio 1964
![]() |
Igor Man, «La Settimana Incom Illustrata», 10 maggio 1964 |