Nascita della compagnia De Filippo, le riviste, l'avanspettacolo

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In quel tempo un nostro caro amico, Michele Galdieri, figlio del celebre poeta e drammaturgo napoletano Rocco Galdieri “Rambaldo”, morto prematuramente nel 1921, volendo seguire le orme paterne che a suo tempo s’era anche rivelato un fertilissimo autore di spettacoli di rivista, prima per la compagnia di Eduardo Scarpetta, poi per altri complessi artistici dell’ambiente teatrale napoletano, ci propose un copione d’una rivista che molto argutamente rifletteva la vita sociale di quell’epoca e in particolar modo quella di Napoli, una grande città sempre male amministrata e per questo eternamente disordinata, confusa e imprevedibile, adattissima quindi a satireggiarla e a criticarne gli usi e i costumi. Il copione di Galdieri però aveva una storia. Per quanto il nostro amico l’avesse proposto a parecchi impresari teatrali napoletani non era riuscito a “piazzarlo”. Si sosteneva che il testo valeva poco per cui non sarebbe piaciuto. Ma a me e a mio fratello, leggendo attentamente, quel testo piacque moltissimo, e cosi proponemmo a Galdieri di formare con noi due una gestione capocomicale sociale e di rappresentare subito la rivista col titolo polemico La rivista che... non piacerà! Galdieri accettò.

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Eravamo tre giovani ognuno con il cervello pieno d’idee fresche e con tanta volontà di sfondare in qualche modo, come dire: rompere finalmente quel muro fatto di mafia e camorra che stringeva quella parte di Napoli rivistaiola come in una morsa dalla quale non sembrava mai possibile potersene liberare; ma noi, sotto molti aspetti, ci riuscimmo, con meraviglia di non pochi negrieri di quel genere teatrale. Facendoci anticipare del denaro da una nota strozzina formammo la compagnia e ordinammo scene e costumi. Un coraggio da leoni! Mano mano che si spendeva, i soldi andavano esaurendosi, ma noi fidavamo pienamente sul successo dello spettacolo e non tememmo di firmare cambiali su cambiali. Come Dio volle, dopo un mesetto di prove, la rivista andò in scena nella seconda metà di luglio del 1927 e il successo fu incondizionato e clamoroso! Un consenso di pubblico e di critica eccezionale. L'indomani dell’andata in scena tutta Napoli commentava più che favorevolmente l'avvenimento teatrale. Figuriamoci la felicità mia, di mio fratello e del caro Galdieri.

(...) Mi scritturai nella Compagnia Molinari del Teatro Nuovo che in quell’epoca si preparava a mettere in scena il suo solito spettacolo di rivista col titolo Pulcinella principe in sogno...! (titolo ricavato da un volume di versi di Ugo Ricci, edito dalla Editrice Tirrena di Napoli, 1928). Vi ci aveva collaborato anche mio fratello Eduardo scrivendo per l’occasione l’atto unico Sik-Sik, l’artefice magico (una vicenda tra il comico e il grottesco sulle vicissitudini di un prestigiatore da strapazzo, della sua compagna e del suo “compare” di lavoro). Poiché Eduardo ed io guardavamo il teatro secondo il nostro gusto e maniera e sempre come da tenerlo in un alone addirittura sacrale, per godere — sia pure in uno spettacolo ri-vistaiuolo — un po’ di mano libera... pensammo di formare un gruppo di attori con noi due a capo e inserirlo nella formazione Molinari. Un mezzo per poterci sentire un poco più indipendenti, infatti la gestione Molinari avrebbe dovuto scritturare me e Eduardo come capocomici di quel gruppo che avremmo proposto. La nostra proposta venne accettata, il gruppo venne costituito con la denominazione Ribalta Gaia e inserito nello spettacolo come ditta a parte. La formazione artistica fu la seguente: Eduardo, io, Titina nostra sorella con il marito Pietro Carloni, Carlo Pisacane, Agostino Salvietti, Tina Pica e Giovanni Berardi. Fu quello, in verità, l’inizio della vera fortuna di noi De Filippo. Fu in quella occasione che il nostro nome di attori, ben capaci di uscire dalle vecchie formule teatrali (in cui, per esempio, si tollerava bene che un attore entrando in scena potesse rispondere con un profondo inchino all’applauso di saluto che gli indirizzava il pubblico), cominciò a correre sicuro e veloce sulla bocca di tutti. Del successo enorme che ottenne quello spettacolo di rivista la parte del leone spettò al Sik-Sik di mio fratello Eduardo.

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Dopo un breve e disastroso corso di recite al Puccini di Milano, poiché era già stato stabilito per contratto con la Suvini-Zerboni, passammo al teatro Ex-celsior di corso Vittorio Emanuele e si può immaginare con quale stato d’animo depresso e impaurito. Se si fosse ripetuto anche lì lo stesso tonfo artistico del Puccini, potevamo considerarci rovinati. Ma la fortuna, finalmente, ci volle assistere e il successo, un successo davvero inaspettato arrivò ad ali spiegate. Il pubblico dell’Excelsior ci tributò un consenso inimmaginabile per intensità e convinzione. Gli applausi, al calar del sipario, non riuscimmo a contarli tanti ne furono. Ci sentimmo ripagati di tutte le sofferenze morali dei giorni precedenti e incoraggiati a riprendere il nostro lavoro sostenendolo con maggiore fiducia e tenacia. Nonostante, però, il magnifico lusinghiero successo, sarebbe stato difficile procurarci in quel momento altri contratti tanto più che con l’approssimarsi della stagione autunnale, l’impresario Aulicino del Teatro Nuovo di Napoli, nel preparare i suoi spettacoli di rivista per l’inverno, desiderava scritturarci col nostro solito gruppo Ribalta Gaia e il contratto fu presto stipulato. Nel corso iniziale della stagione, riuscimmo a convincerlo di farci tentare nel suo teatro uno spettacolo scritto da me dal titolo: Tutti uniti canteremo in due atti e uno in un atto già rappresentato altrove: Don Raffaele ’o trumbone. La nostra proposta fu accettata, anche perché la condizionammo al nostro contratto invernale, le due commedie andarono in scena e il successo, giuro, fu davvero strepitoso.

Immediatamente dopo, io e mio fratello, incoraggiati dal successo che aveva ottenuto il nostro spettacolo di prosa, cominciammo a far programmi per una nuova sortita e detto fatto concludemmo e sottoscrivemmo un breve impegno per avanspettacolo della durata di una sola settimana, come prova, con la direzione del cinema-teatro Kursaal di via Filangieri in Napoli nei pressi di via dei Mille. Era questo un locale frequentato dalla Napoli bene, abbastanza grande, pulito, di stile moderno e provvisto di un piccolo palcoscenico attrezzato alla meglio per spettacoli di prosa. Con il nostro solito gruppo di attori vi debuttammo la sera del 21 dicembre del 1931 con un atto unico scritto appositamente da mio fratello dal titolo: Natale in casa Cupiello. Quel genere di teatro in chiave essenzialmente umoristica, che in Natale in casa Cupiello (prima maniera) si manifestava in senso assoluto dalla prima all’ultima parola del testo, fu il fattore primo dell’enorme successo di arte, stile e carattere.

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Quel nostro senso teatrale d’humour mai fino allora conosciuto sufficiente-mente sui palcoscenici italiani, quel parlare, cioè, con sorriso amaro di cose affatto liete, quel presentare con un velo di comicità ora spesso ora lieve ciò che in realtà è triste e penoso, deludente e doloroso... fu il cardine intorno al quale si mosse il nostro successo. Quel successo che poi in breve valse ad imporci, con grande prestigio artistico, in tutto l’ambiente teatrale italiano. I napoletani, in massa, cominciarono ad affluire nella elegante sala di via Filangieri che in pochissimo tempo cominciò a registrare esauriti su esauriti tanto che dovemmo prolungare il contratto di altre due settimane e il nome dei tre De Filippo: Peppino, Eduardo e Titina cominciò a passare di bocca in bocca e sempre con maggiore stima e curiosità. Un vero e indimenticabile trionfo artistico quel debutto! L’impresario del cinema-teatro ci propose un terzo prolungamento di contratto e alla fine la fortunata stagione si protrasse per ben sette mesi consecutivi: dalla fine del dicembre 1931 alla fine del luglio 1932. Per impegno contrattuale avevamo stabilito che avremmo messo in scena un atto unico nuovo per settimana: ad ogni cambiamento del programma cinematografico: ogni lunedi in genere!

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C’è troppa gente che vuole ignorarmi, che dimentica di proposito chi sono stati i De Filippo nella storia del teatro italiano, anzi nella storia del costume italiano. Io, quando ho inventato il personaggio di Sik-Sik, ho creato un linguaggio nuovo che è diventato quasi subito una moda seguita da tutti. Nell’Italia degli anni Trenta tutti parlavano come Sik-Sik, ripetevano le sue battute, si divertivano col suo umorismo tragico. E che cos’era l'Italia di allora se non un grande carnevale che serviva a nascondere le miserie della gente?

Sik-Sik nasce nel 1929. Allora al Teatro Nuovo di Napoli si esibiva una compagnia di riviste che faceva perno intorno a quel grosso attore che era Gennaro Di Napoli. Quando questi mori, la compagnia si sciolse e i suoi componenti rimasero sul lastrico. Allora, per rimediare al disastro, l’impresario Aulicino venne a scritturarmi a Roma, dove recitavo al teatro Manzoni. Fui assunto come attore e mi rimorchiai dietro anche mio fratello Peppino, cosi ci riunimmo insieme a mia sorella Titina, che faceva già parte della compagnia.

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Dunque debuttammo nel mese di aprile in una rivista casereccia che si intitolava Pulcinella principe in sogno. In questa rivista io figurai anche come attore dello sketch basato sul personaggio di Sik-Sik, il prestigiatore da strapazzo al quale le cose vanno tutte storte, i piccioni diventano pollastri, il “compare” lo pianta in asso all'ultimo momento, sicché il disgraziato, per campare, si vede costretto a inscatolare la moglie incinta in una cassa di un metro quadrato.

Scrissi questo sketch in treno, mentre mi trasferivo da Roma a Napoli. Ma non pensare a un record, per carità: devi ricordare che allora il treno ci metteva quattro ore per compiere il tragitto. Io, poi, ero in arretrato per la. consegna del copione, che tutti aspettavano come la manna del cielo. Infatti, quando arrivai, seppi che due giorni prima l’impresario era andato ad accendere un cero a San Gennaro perché mi illuminasse e mi facesse arrivare in tempo per le prove.

Naturalmente, tutti mi furono addosso per vedere subito che cosa avevo portato. Io tirai fuori dalle tasche alcuni fogli di carta da imballaggio sui quali avevo buttato giù, tra gli scossoni del treno, la storia di Sik-Sik e li presentai come se fossero altrettante reliquie da venerare. L’accoglienza non fu precisamente entusiastica, ma quando poi lo sketch andò in scena la reazione del pubblico fu tale che l’impresario si convinse di avere messo le mani su una miniera d’oro.

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Erano i tempi d’oro dell’Italia fascista. Allora la gente era impigrita nel quieto vivere, cullata dolcemente da un benessere più di forma che di sostanza, la gente correva a gremire i teatri dove davano soltanto spettacoli scacciapensieri. Era il momento magico delle soubret-tes, delle ballerine dai seni opulenti improvvisamente trasmigrate dai cinema-teatri di periferia alle ribalte dei grandi teatri. Qui, i loro sussulti e il loro ancheggiare servivano ad accendere i sogni erotici dei commendatori seduti nelle prime file, mentre comici scatenati raccontavano barzellette a doppi e tripli sensi.

In questo mondo di falso oro ci inserimmo noi, i De Filippo, figli veraci del paese dei “vermicelli”, rappresentanti di un’Italia povera che a fatica cercava di tenere il passo dell’epoca, che per forza di cose finiva col fare il verso al banchetto altrui. La gente che ci veniva a sentire li per li impazziva per le nostre trovate, per i nostri lazzi, ma poi a poco a poco scopriva l’amaro che c’era sotto e questo accresceva la sua simpatia per noi. Perché il teatro, con noi, diventava vita, commedia della vita che è sempre buffa e tragica insieme.

Eduardo De Filippo



Riferimenti e bibliografie:

"Follie del Varietà" (Stefano De Matteis, Martina Lombardi, Marilea Somarè), Feltrinelli, Milano, 1980