Federico Fellini, strada sbarrata e via libera ai vitelloni
Cinema Nuovo inizia da questo numero la pubblicazione di scritti dei più significativi registi, sceneggiatori e soggettisti italiani e stranieri. Anche questo fa parte del nostro programma, cioè allargare il colloquio tra il critico, il pubblico e gli autori del film.
Perché faccio I vitelloni? Dunque, io volevo realizzare La strada che mi sembra il mio film e quando l’avrò fatto potrò ubbidire a tutti gli ordini e a tutti i desideri, ma ho avuto un sacco d’intoppi. Strano, perché è un copione semplice che non dovrebbe spaventare alcun produttore.
Comunque, rimandato La strada a primavera, qualcosa bisognava ben fare, e allora mi è venuta la tentazione di giocare ancora uno scherzo a certi vecchi amici che avevo lasciato da anni nella città di provincia dove sono nato.
Era una piccola vigliaccheria, ma pensavo che loro — siccome anche se un po’ sfasati sono di pasta buona — non si sarebbero rifiutati di darmi una mano in un momento di difficoltà. Cosi da qualche giorno mi sono messo a raccontare quello che ricordavo delle loro avventure, le loro ambizioni, le piccole manie, il loro modo particolarissimo di passare il tempo.
Il guaio è che, tornato a frequentarli, mi sto accorgendo che passo anche io troppo volentieri il tempo al bigliardo o sulla spiaggia a guardare il mare d’inverno, o a cantare canzoncine oscene nel silenzio notturno delle antiche piazze. E mi piacerebbe dimenticare tutti i miei impegni; e mi sembra che tanta gente del cinema che ho conosciuto più tardi: gente seria, indaffarata, importante; gente con cui ho legami di lavoro e anche di amicizia, mi sembra di non conoscerla più, di non ricordarla pivi, e che potrebbero guardarmi severamente, voltarmi le spalle, cacciarmi anche fuori con un nervoso schioccare di dita.
E allora, mentre ascolto i discorsi dei miei vitelloni («Ma tu, se venisse adesso Jane Russell e ti dicesse: dài, pianta tutto e vieni con me, ci andresti?» — «Ostia se ci andrei!») comincio a pensare con una punta di tristezza che se vorrò continuare il mio lavoro, sarò costretto ancora una volta a tradirli, come ho fatto da ragazzo quella volta che una bella mattina ho preso il treno e me ne sono andato in città.
Mi conforta solo il pensare che quando sapranno della mia nuova fuga non se la prenderanno troppo. Faranno qualche commento sbadato.
«Se ne è tornato a Roma», diranno, «a fare che?»
E quel pochino d’invidia che certamente proveranno — perché in fondo la città è il loro sogno segreto — ognuno se la terrà in corpo, tranne a sospirare forse pili tardi, da soli, quando chiuso il caffè del commercio, a notte alta salgono in silenzio le scale di casa e si mettono a letto.
Federico Fellini, «Cinema Nuovo», 1 gennaio 1953
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Federico Fellini, «Cinema Nuovo», 1 gennaio 1953 |