Sylva Koscina è arrivata al cinema col Giro d'Italia
Il volto di Silva Koshina, che rappresenterà il cinema italiano al festival di Cannes nel film “Il ferroviere”, apparve per la prima volta sui giornali accanto a quello del ciclista Van Steenhergen
Roma, aprile
Tutto é accaduto nello spazio di sei mesi: la firma di un contratto di sei anni con il produttore Ponti, il primo film con un regista di vaglia come Pietro Germi, le fotografie sui giornali, un secondo film — e questo interrotto prima della fine (non c’è attrice o attore che si rispetti che di questi tempi non vanti una esperienza del genere), poi la offerta per interpretare un terzo film, e, finalmente, l’invito di recarsi al Festival di Cannes dove il film di Germi, Il ferroviere”, rappresenterà quest’anno l’Italia assieme a ’’Gli innamorati” di Mauro Bolognini.
Protagonista di questa serie di avvenimenti, che usualmente fanno parte della routine di un'attrice già affermata, è Silva Koshina, una ragazza che fino a sei mesi fa nutriva solo timide aspirazioni di fare del cinema e che oggi è entrata vivacemente a far parte del gruppo delle disincantate attricette ventenni, affiancandosi a Madeleine Fischer, Anna Maria Pancani, Irene Cefaro e ad altre recentissime "scoperte". Ancor prima che il pubblico l’abbia confortata coi i suoi consensi, o la critica abbia citato il suo nome, ancor prima che uno qualsiasi dei suoi film sia comparso sullo schermo, Silva Koshina fa parlare di sè, si fanno previsioni sul suo futuro, si coniano definizioni più o meno tendenziose sul tipo della sua bellezza fisica.
SYLVA KOSHINA a bordo di una motonave che ha compiuto di recente il suo primo viaggio da Napoli a Palermo.
Tutto ciò è molto americano — il criterio di creare innanzitutto la "starlett” a forza di pubblicità e poi, ove il pubblico dimostri di apprezzarla, di lanciare i suoi film, è un criterio tipicamente hollywoodiano — ma può essere anche molto preoccupante per colei che gioca la sua fortuna, le sue speranze, praticamente sul nulla. Non è il caso della Koshina, la quale malgrado tutto quello che le è capitato non è nè soddisfatta nè sfiduciata, non si è montata la testa nè si è eccessivamente entusiasmata; e si limita a constatare che finora le cose sono andate bene. Questo atteggiamento disincantato depone, tutto sommato, a favore della intelligenza di questa ragazza, che una serie di avvenimenti, alcuni dei quali legati all'ultima guerra, hanno portato dalla natia Jugoslavia a Roma e hanno deposto più o meno casualmente sulle soglie di Cinecittà.
Silva Koshina viveva infatti a Spalato assieme ai genitori quando, aveva allora dieci anni, si recò a Zara a trovare la sorella sposata a un ingegnere italiano; capitò proprio nei giorni in cui gli alleati bombardarono Zara radendola al suolo e andò così che la sua gita di pochi giorni sì trasformò in un definitivo allontanamento dalla sua patria. Poiché la vita a Zara era divenuta pressoché impossibile, l’ingegnere decise di tornare in Italia e di fronte al dilemma di far affrontare alla bambina sola un viaggio pieno di pericoli di portarla con sé, egli optò per la seconda soluzione.
LA GIOVANE ATTRICE s’è cimentata, per il fotografo, in un lavoro di bordo, dando una mano - molto lieve, per la verità - ai marinai impegnati ad alare una gomena. Silva Koshina è di origine jugoslava: è nata a Spalato, infatti, ma si è trasferita da dieci anni in Italia.
In questi dieci anni trascorsi in Italia Silva ha imparato a perfezione la nostra lingua, si è fatta una bella ragazza, non particolarmente vistosa, ha conosciuto diverse città, Bergamo, Brescia, Napoli, Roma, ha completato gli studi classici e ha cambiato due volte Facoltà: all’Università di Napoli era iscritta alla Facoltà di matematica, a Roma frequentava fino a poco tempo fa quella di legge. Fu a Napoli che nel 1954 i suoi colleghi dell’Accademia di scherma la scelsero per consegnare il fatidico mazzo di rose rosse al vincitore della tappa Roma-Napoli del Giro d’Italia: un avvenimento apparentemente trascurabile, un fatto da nulla, ma ciò significò la fotografia sui giornali, accanto a Van Steenbergen, gli applausi della folla, un soffio improvviso di celebrità intorno al suo nome.
A ROMA, dopo aver frequentato la Facoltà di legge abbandonò gli studi decisa ad entrare nel cinema; e per questo scelse una delle tante scorciatoie: la carriera dell'indossatrice. Esercitò questa professione per un paio di mesi, poi le venne offerta la prima scrittura.
Si può dire che da allora, anche se essa non lo confessò a nessuno, Silva Koshina cominciò a pensare al cinema. La sorella si era intanto trasferita a Roma, e Silva lasciò i parenti di Napoli e venne a Roma. Un giorno disse che voleva fare l’indossatrice, giusto per provare. E’ alta un metro e settantacinque, ha una figura slanciata, e fu bene accolta negli atéliers di via Veneto: partecipò a qualche sfilata, si fece notare. Questa parentesi durò circa due mesi, poi tutto accadde secondo il cliché solito: il produttore vede le fotografie della ragazza, la manda a chiamare, le fa firmare un contratto, poi capita il regista che cerca un volto con questi e quei requisiti, e così via. Il produttore fu Ponti; il regista Germi, che cercava sua ’’figlia” per ”Il ferroviere”.
AL SOLE DI PALERMO. In vicinanza del porto di Palermo, dove è terminato il viaggio inaugurale della motonave che aveva condotto Silva da Napoli in Sicilia, la giovane attrice si è fatta fotografare sul carrettino di un venditore ambulante di verdura. Silva Koshina ha iniziato la carriera cinematografica debuttando nel film "Il ferroviere”, diretto e interpretato da Germi. Ora dovrebbe interpretare ”I fidanzati della morte”, un film di Romolo Marcellini sulla vita dei corridori motociclisti.
Fra qualche centinaio di ragazze la scelta di Germi cadde su Silva Koshina, perchè era graziosa senza essere appariscente, e perchè, a differenza delle altre, possedeva un volto capace di riflettere dei sentimenti con una certa intensità. L’unica cosa che non andava era forse il cognome: pronunziato in italiano dagli italiani si poteva prestare all’ironia. Germi lo eliminò e aggiunse un i greco al nome, ma la trovata era troppo peregrina e Sylva riacquistò in breve tempo il suo i semplice e il suo cognome jugoslavo: con i quali ha ormai iniziato la carriera, scongiurando definitivamente il pericolo di perderli. Sono, assieme alla madre, uno dei pochi legami che ha conservato con la sua patria.
Stelio Martini, «Tempo», anno XVIII, n.15, 12 aprile 1956 - Fotografie di Paolo Costa
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Stelio Martini, «Tempo», anno XVIII, n.15, 12 aprile 1956 - Fotografie di Paolo Costa |