SEQUENZE - QUADERNI DI CINEMA
La Chiesa e il cinema


1950 Cinema e cattolicesimo

La Chiesa e il cinema


PRESENTAZIONE

Quali sono i rapporti fra il cinema e la religione cattolica? Esiste una cinematografia ispirata ai principi del Cattolicesimo? Se non si può pretendere di dare una risposta definitiva a queste due domande con gli scritti raccolti nel presente fascicolo, fissare tuttavia alcuni punti essenziali, sulla base dei quali avviare la discussione sull’argomento, ci sembra tanto più utile oggi che i rapporti fra cinema e Cattolicesimo sembrano farsi sempre più stretti.

Che in questi anni si sia avuta una notevole fioritura nella produzione di ispirazione cattolica e che la Chiesa si mostri sempre più attenta e interessata nei confronti del cinema è un fatto che non crediamo possa attribuirsi a semplici ragioni di reciproco tornaconto materiale e che non ci pare possibile studiare solo da questo punto di vista. Dal Cristianesimo infatti hanno tratto ispirazione sommi artisti in ogni tempo; perché non dovrebbero trovarvi materia per le loro opere gli uomini migliori del cinematografo? Non potrebbe essere questa una ottima occasione perché il cinema si impegni finalmente in argomenti di elevatezza spirituale pari alle sue possibilità? Se i risultati finora raggiunti sono ancora molto modesti, non è però difficile avvertire nell’ultima produzione i segni che lasciano intravedere un possibile miglioramento. Film come Monsieur Vincent, La Croce di fuoco, e soprattutto Cielo sulla palude, hanno il merito di contribuire, al di fuori degli schemi ufficiali e dichiarati, alla creazione di un «personaggio cristiano» nel quale i principi religiosi acquistano valore ed evidenza umani.

Allo scopo di chiarire e illustrare i rapporti fra il cinema e la religione cattolica abbiamo offerto al lettore una documentazione diretta, la più importante, pubblicando il testo della enciclica papale «Vigilanti cura», pronunciata nel 1936 da Pio XI, e inoltre scritti più recenti di eminenti prelati e il contributo attuale di studiosi cattolici. Sulla base anzitutto della propria esperienza e con la guida degli scritti contenuti in questo fascicolo, al quale a questo scopo si è data in parte una impostazione di carattere panoramico, riservandoci di presentare in un secondo fascicolo sullo stesso argomento un più ampio contributo di critica, non sarà difficile giudicare l’entità dei risultati finora raggiunti.

Il nostro augurio è intanto che la Chiesa, più che considerare il cinema come elemento negativo e fattore di corruzione da combattere attraverso censure e prescrizioni, voglia piuttosto considerarlo, come è suggerito nell’enciclica «Vigilanti cura», uno a strumento di educazione e di elevazione» da usare attivamente, e tener conto che a operare la diffusione del bene rimangono le opere d’arte mentre tutto il resto, esaurito il compito immediato, non lascia traccia.


Perché la Chiesa si occupa di cinema? La risposta è questa: perché il cinema ha da vedere col Bene e col Male; con la virtù e con il peccato; cose che, sia pure per ragioni di contrario, hanno a che vedere con l’ambito di cui si interessa la Chiesa. E allora dico quello che sta al fondo del mio assunto. A proposito del cinema la Chiesa non è suocera irragionevole, è una madre premurosa del vero bene, fermamente premurosa, ma altrettanto comprensiva dell'umanità. Ritengo opportuno enunciare con chiarezza e senza retorica alcuni principi, i quali dicono con evidenza quale sia la posizione della Chiesa di fronte al cinema. Senza una nozione chiara di questi principi e di questa conseguente posizione, nessuno potrebbe avere ragione della legittimità di questo intervento in una simile questione, nessuno potrebbe rendersi conto dei motivi altissimi e per niente umani, per cui la Chiesa si interessa ad essi.

Il cinema è una cosa buona.

La prima proposizione è questa: il cinema è una cosa buona e può servire al bene. Vi prego di pesare le parole: perché il cinema è una cosa buona? Il cinema è soprattutto una memoria obiettiva e fedele, incide, riproduce; è la memoria obiettiva ottenuta con la nostra testa, ma con dei mezzi fisici e meccanici.

Secondo: il cinema è una fantasia meccanica. Quello che facciamo noi con la riproduzione delle immagini nel nostro cervello, lo si riesce a fare in una forma certo incomparabilmente più imperfetta, con strumenti materiali e meccanici. Ho detto che il cinema è una memoria obiettiva e fedele, ed è una fantasia meccanica, per dire questo: non è altro il cinema che un certo riflesso di quello che accade nella nostra testa, riflesso che a noi costa, ma che può essere comodo, può essere un complemento, un aiutò. E allora, se il cinema non è altro che il riflesso, parziale riflesso di quello che Dio ha costruito nella nostra mente, il cinema è una cosa buona. Non possiamo pensare che il riflesso d’una ottima cosa fatta da Dio, possa essere cattiva. Questo è il motivo per cui il cinema è intrinsecamente una cosa buona, ed è un lato fondamentale questo, senza del quale non si avrebbe la base sufficiente per arrivare a qualsiasi giudizio morale equilibrato e comprensivo, ugualmente rispettoso della verità, della morale e dell’umanità. Ecco perché il cinema è in sè una cosa buona. Bisogna aggiungere, per comprendere questa bellezza, questa bontà, che il cinema, in confronto di quello che accade nel nostro cervello, è memoria e fantasia meccanica.

Ha, aggiunge una facilità, una evidenza, e gli accorgimenti di una tecnica. Aggiunge una facilità: è evidente. Non fa fare alcuno sforzo. Bene inteso per chi lo sta a guardare — non certo per chi ha dovuto essere il poeta del cinema, il regista, o ha dovuto assumersi la parte di attore — una facilità e una evidenza aggiunge perché sfrutta due elementi che sono la luce e il quadro. Aggiunge una tecnica, e la tecnica del cinema appoggia su questi elementi: sul quadro e la inquadratura, e sulla mobilità, mobilità che porta alla possibilità di avvicinamenti e di contrasti; e tutto questo ha la particolare evidenza dei piani e delle luci. Sono questi gli elementi sui quali poggia tutta la tecnica del cinema. Detto che il cinema è una cosa buona, ora devo dire perché può servire al Bene. Il cinema è immagine. Ogni immagine eccita in noi una emozione; ogni emozione è un incitamento, muove qualche cosa in noi. Le immagini incalzanti, le immagini che diventano fascinose per l’arte che le fa succedere, le collega e le inquadra in un ragionevole sviluppo, possono aumentare incredibilmente questo incitamento. L’incitamento di una emozione buona può servire al Bene. E’ questa meccanica psicologica, che non accade sullo schermo, ma nell’anima di chi guarda, che spiega perché mai il cinema, per la facilità di eccitamento, di emozioni buone, può servire al bene.

Io trovo il mondo al cinema.

Io non posso dimenticare che il cinema è del resto il terreno sul quale si incontra tutto quanto il mondo. Perché tutto quanto il mondo io non lo incontro sul campo da giuoco; non foss’altro quelli che non hanno più capacità di giuocare o che non possono andarsi a far rinfacciare di avere perduto quella capacità, non ci vanno. Il mondo io non lo trovo tutto in Chiesa; purtroppo, me ne dispiace, ma devo prendere atto di questa realtà. Il mondo non lo trovo tutto quanto in piazza, perché la piazza è una cosa spaventosamente compromessa. Ma il mondo lo trovo tutto quanto al cinema: e allora, non foss’altro che per questo, intendiamoci non solo per questo, si aggiunge una ragione di bontà, ragiono che varrebbe niente se il cinema non potesse essere in se stesso e di per se stesso buono, ma che aggiunge qualche cosa e, per chi ha in. tenti apostolici, ve lo dico francamente, costituisce un’ attrazione singolare. Io vi dico che il cinema è il terreno sul quale posso incontrare tutto il mondo.

Io, come Vescovo, so che al cinema posso incontrare tutti quanti i miei diocesani e questa è per me una cosa importante, una cosa suggestiva tanto che mi porta a questa conclusione. Una volta il nartece quadriportico, era l’ingresso della Chiesa. Ora in certi posti si deve credere che il prologo all’avvicinamento a Dio possa essere ancora, e forse qualche volta in modo insostituibile, una sala cinematografica.

Forse qualcuno si meraviglierà a sentirmi dire questo, ma io lo credo. C’è una seconda proposizione nella quale pure si condensa una parte della posizione della Chiesa di fronte al cinema. Ed è questa: il cinema può servire al Male. Ne ho detto bene, ho cominciato col dirne bene; lasciate che io ora dica lo aspetto negativo. Il cinema può servire al male. Non dico «deve», non dico necessariamente «serve»; dico che «può servire» al Male.

Il cinema può servire al male.

Non vi ho detto che il cinema è una memoria ottenuta con mezzi meccanici, è una fantasia meccanica che riproduce e compone, ottenuta con mezzi meccanici, che è un riverbero della stessa azione, che si svolge nel nostro cervello? Non vi ho detto che è una cosa buona, fondamentalmente buona, perché è il riverbero di quello, il riverbero di un’opera di Dio. Ebbene, lo sapete che la memoria e la fantasia possono servire al male. Purtroppo l’esperienza personale di ogni nomo e di ogni donna garantisce tristemente questo.

E allora voi intendete che il riverbero di una santissima cosa che purtroppo può essere male usata, anch’esso può essere male usato. Non c’è bisogno di dimostrarlo perché è quello che tutti vedono. Dunque il cinema può servire al male, ma può servirlo con particolare forza. Quali sono i motivi per cui il cinema può servire al male con particolare forza? Al male, cioè al peccato, al vizio, al disordine, ai torbidi, ai sovvertimenti, agli inganni? Agli inganni soprattutto perché in realtà ogni forma di immoralità attraverso il cinema è sostanzialmente un inganno.

I motivi fondamentali sono questi. Prima di tutto il cinema agisce direttamente sulla fantasia e sul sentimento, facoltà irrazionali; solo indirettamente agisce sulla ragione e sull’intelligenza. Perché indirettamente? Perché il cinema si contenta di suscitare immagini. Per arrivare al raziocinio è necessario un fatto discorsivo della mente, che in qualche modo può essere sollecitata dalla stessa foga dell’immagine suscitata, ma che non è perseguita se non attraverso un fatto di riflessione, il quale può anche essere comodamente evitato.

Rimane dunque che il cinema agisce direttamente sulla fantasia e sul sentimento che sono facoltà irrazionali e che possono essere tremendamente impulsive. E’ in questa divisione, è in questa accentuazione che sta la sua capacità maligna, perché può dare la precedenza a quello che può non essere diretto, noi abbiamo la maggiore possibilità di tutte le storture e di tutte le incisioni maligne nell’animo.

Ma c’è una seconda ragione; il cinema può servire al male perché è tratto in ballo il divertimento. Il divertimento è un fatto complesso, dinanzi al quale la debolezza umana si trova in assoluta minoranza. E quando si comincia a intonare l’antifona del divertimento uomini e donne, se non hanno una grandissima capacità di ripresa sopra se stessi — il che è raro — sono in complesso di inferiorità quanto a resistere alle suggestioni, agli impulsi e ai fascini del divertimento stesso. Il divertimento è l’argomento che fiacca, e l’argomento col quale non si ragiona molto, è l’argomento dinanzi al quale i più si sentono vinti. Siccome il cinematografo costituisce essenzialmente un divertimento può Servire al male.

Il cinema è un affare.

Il terzo motivo per cui il cinema può servire al male è che il cinema è un affare, per la gran parte del mondo. Arte? Certo, arte; ma arte in quanto è un’affare. Io penso al buon Flaherty quando sognava le sue meravigliose regìe, ma i più fanno dell’arte perché quest’arte è un affare. Perché mai il cinema costituisce questo colossale affare? Perchè è un divertimento. E perchè mai il divertimento dà esca a tale colossale affare? E’ chiaro: perché il divertimento è la più spettacolosa industria che esista al mondo, ossia il più grande mezzo per fare denaro.

Io adesso non instauro qui la questione se questo elemento che si inquadra in un ordine economico possa essere oggetto di particolari e gravissimi rilievi. Non è affar mio, almeno qui ed oggi. Ma è certo che il cinema è un grande affare. Ed è un grande affare prima di essere arte e prima di qualsiasi altra cosa, perché è un divertimento. E il divertimento è un affare perché davanti al divertimento cede la gran parte degli uomini e delle donne.

Se nel cinema non c’entrasse lai questione del denaro, auri sacra fames, esecranda fame, probabilmente non esisterebbe una questione morale del cinema. Ma, che volete, è imparentato col denaro, è avviluppato nella rete del denaro. E per questo non si venga a parlare di ragioni ideali. Le ragioni ideali sono di pochissimi, di pochissimi uomini. E in genere è difficile credere alle ragioni ideali quando non si veda, direi, qualche stigma nella persona che parla di ideali e qualche garanzia nella sua dottrina. Ma quando l’argomento degli ideali entra nel campo del cinema, Dio mio, è una questione di denaro. La conclusione morale che fissa con precisione l’atteggiamento della Chiesa riguardo al cinema, quale è? E’ questa proposizione: il cinema è una questione di modo e di misura, non di sostanza. Di modo e di misura.

Principi che ispirano la Chiesa.

Allora permettetemi che io vi enumeri brevemente i principi sommi ai quali sì ispira la Chiesa, che non decide a caso dei suoi atteggiamenti, ma in base a una considerazione millenaria di quello che ha detto Gesù Cristo, in base a una millenaria memoria ed esperienza di quello che è accaduto e che continuerà ad accadere agli uomini.

Il primo principio è questo, e riguarda il modo: ogni cosa è un principio morale, non può rimanere indifferente, cioè neutra, fra il bene ed il male. Badate che questo principio — ringrazio Dio che mi ha dato questa occasione di dirlo — non riguarda soltanto la questione del cinema, presiede a ogni articolazione di onestà dell’intelletto umano. Nessuna cosa può rimanere indifferente, ossia neutra, fra il bene e il male. O di qua o di là. Qualcuno dirà: «Ma non potrebbe rimanere sospesa?» Non ci rimane, perché abbiamo da Dio positivamente il precetto di far rendere al fine ultimo della nostra esistenza tutta la vita. Non qualche cosa solo: tutta, tutto il tempo, tutte le capacità, tutte le doti, tutte le possibilità esterne, tutto, in una parola.

Nessuna cosa può essere indifferente perché per il fatto solo che non tende al bene diventa in mora rispetto al precetto divino per cui a Dio dobbiamo restituire tutta la vita, con tutte le sue possibilità.

La gente questo principio se lo dimentica discretamente, ma la Chiesa no. E noi pastori ce lo teniamo bene davanti al naso per accusare ogni giorno noi prima degli altri, se non abbiamo fatto tutto. Ed è questa la morale che non ci lascia dormire e mai ci lascerà dormire, e per fortuna ci leva anche ogni paura. Ma questa ragione domina il cinema anche, che non può rimanere una cosa indifferente, una cosa neutra. Diciamolo chiaro, perché anch’esso è un dono di Dio e deve positivamente servire al bene. Non dico — questo a scanso di equivoci — che al bene si serve solo facendo una predica: io posso servire al bene facendo penitenza di giuocare con un altro per fargli passare il tempo quando è malinconico, perché a volte a giuocare c’è più penitenza che a non giuocare.

Ma ricordiamoci — questo è il primo principio che regola il modo del cinema: non si può ammettere, e la Chiesa non sarà mai quieta dinanzi a un cinema che si accontenti di essere neutro e di non compro, mettersi e lasciare la divaricazione fra il bene ed il male alla libera e alla facilona interpretazione di chi sta a vedere. No, no!

La debolezza umana.

Questo è il primo principio. Ce n’è un secondo. Rimane la debolezza della natura umana conseguente al peccato originario. Nessuno di noi nasce eroe, pochi di noi hanno mai fatto gli eroi, qualcuno non lo farà mai l’eroe; e se qualcuno vuole parlare di eroismo pensi bene a che cosa ha fatto e che cosa sarebbe capace di fare dinanzi a tutti gli allettamenti che gli si possono presentare su tutti quanti i piani. Questo è il discorso sulla poderosa grandezza del genere umano; siamo deboli, deboli.

La debolezza umana, perché mai in tutti gli argomenti non si parla mai di questo, che pure è la determinante? Perché non si paria di questo? Non è forse vero che, se si va a grattare nei fatti anche più grandi, poi si arriva sempre o quasi sempre a trovare qualche imbroglio, che non esisterebbe se la debolezza umana o non ci fosse o fosse sufficientemente contenuta? Chi è padrone, non dico degli occhi suoi che è facile chiuderli come è facile aprirli, ma di quello che sta dietro agli occhi? Chi è padrone? dispotico padrone? In tante cose non c’è che la regola della modestia cristiana. A un certo punto i sensi devono avere uno sbarramento.

Ecco, la Chiesa, quando si tratta di cinema, ha davanti questa che è una verità, che è un enunciato, che è una realtà, la realtà, più grande, l’esperienza più grande, quella che si trova a ogni piè sospinto, quella che entra a colorare gli avvenimenti, che è il grande margine in cui tutta quanta giuoca la debolezza umana.

Ecco la Chiesa a che cosa si ispira. Voi comprendete che questi due principi che io ho enunciato imprimono una tale massa di rispetto ai margini della debolezza umana per cui niente nel cinema dovrebbe mai diventare violenza contro questa debolezza, contro questa facilità a far franare la forza dello spirito, la integrità delle doti, la visibilità del proprio ambiente, di quello che conviene nel tempo e nell’eternità. Niente dovrebbe venire a compromettere la possibilità per un uomo e una donna di continuare a reggere potentemente e decisamente l’anima propria.

Questione di misura.

C’è un altro principio, che è questo, e determina la misura. Si parla di misura: la misura tocca anche l’elemento tecnico, l’elemento numero. Sentite questo principio che la Chiesa ha sempre davanti: le anime hanno bisogno di serenità e hanno bisogno della loro completa operabilità. Mi spiego: esse sono compromesse da due fatti che giuocano tanto nel nostro ambiente moderno: il vuoto e il sogno. La più parte delle anime sono vuote. La ragione vera per cui molti fanno dei maldestri è perché sono vuoti. E allora, si sa, è la tattica dei cavadenti di un tempo che faceva suonare la musica perché non si sentissero le urla del paziente.

Ecco: l’anima è vuota: E allora cerca di mettere qualcosa dentro, e allora legge romanzi, va al cinematografo, per cercare di sommare la propria esistenza deficiente arida, malinconica, senza articolazioni e fastigi con un’altra fittizia esistenza. Non avete mai pensato che la ragione per cui molta gente legge o va al cinematografo è questa? Io vi prego di pensare e allora rifletterete meglio a proposito del cinematografo.

Un’altra è quella dei sogni. I sogni avvicinano all’irreale. Quello che è ancora irreale affascina, incita alla forza. Qualche volta bisogna sognare per agire; ma sognare sempre no; guai all’educazione che sia basata sul sogno, ossia sull’illusione permanente. Che cosa faranno quei ragazzi e ragazze che sono abituati a far girare una pellicola continuamente in testa, e una pellicola dove si segna una traiettoria di vita che non è quella della miserabile esperienza quotidiana? Che cosa farà questa gente che sogna per anni seguendo i film e poi si trova con le scarpe rotte? Che cosa farà? Sognare, ma non sempre.

Sognare! E’ meglio non sognare. L’unica cosa che insegna agli uomini di non sognare è la Croce, perché dice le cose come sono e dice quale è la vera realtà della vita umana. Sognare, illudere! E quando si svegliano che cosa fanno? Il resto lo sapete voi, e probabilmente meglio di me.

Ecco l’altro grande principio, e sentite come in esso vibra la verità. La verità: perché in fondo io ho parlato enunciando questo principio delle serenità e della operabilità delle anime, ma io potevo dire salvare la verità delle anime, che non abbiano a vivere nel sogno e nell’irreale, perché il sogno è l’irreale, e l’irreale come tale è sempre alleato dell’errore, e il sogno nella più gran parte è egualmente un alleato dell’errore. E l’errore che cos’è? L’errore è tutto, l’errore è il dolore, l’errore è il fallimento, l’errore è la tenebra.

Il divertimento — e vi enuncio un principio della morale cattolica — il divertimento può essere un buon incitamento e quindi può anche essere ammesso nelle abitudini umane, purché sia buono; ma non faccio adesso questione di qualità, perché su questo tutti mi intendono, faccio questione della sua misura. Il divertimento da che cosa si legittima? Il divertimento si legittima da due cose:

1. la necessità dell’equilibrio da raggiunge, re dal nostro complesso umano, e questo spiega perché i bambini e i ragazzi, che han. no da crescere sono in metabolismo, hanno prescindendo dal lavoro, un diritto al divertimento, purché sia buono, un diritto che è equilibrato da certi limiti.

2. Titolo del divertimento è il Lavoro. O il lavoro fatto o il lavoro da fare. Riposo dopo la fatica, preparazione alla nuova fatica.

Amici miei! Lo pensate che noi non possiamo divertirci, anche in cose buone, indefinitamente? Perché il nostro tempo non è nostro, ma è di Dio. Voi direte: norma austera. Guardate come andrebbero bene le cose di questo mondo se si stesse a questa norma che qualcuno dice austera. Ecco: vedete la misura e la moderazione. Che cosa ne sarà di questi ragazzi e ragazze che vivono unicamente il cinematografo? Che cosa ne sarà quando l’avranno inserito nelle abitudini che diventeranno una seconda natura? Avverrà che una parte notevole del loro tempo dovrà essere sottratta a cento doveri per essere data unicamente a un inutile, costoso e pericoloso piacere.

Eccovi dunque i principi che regolano il modo e la misura. Positivamente servire il bene, e rispettare il limite della debolezza umana. Modo dal punto di vista positivo, e dal punto di vista negativo. E’ poi questione di misura: neque liminìs. La via delle illusioni e del troppo sogno è pericolosa. Aizzare troppo questa illusione può diventare malattia, può diventare tara della vita, che ha bisogno di snodarsi in ben altra indipendenza e in lineamenti di ben altra forza. E poi finalmente il divertimento. Eh, già, si dice, c’è posto anche per quelle; ma ricordiamoci che il divertimento deve essere come il pane: lo si compra e lo si paga. Altrimenti lo si ruba. E pagare il proprio divertimento significa giustificarlo o con la ragione e l’equilibrio, che vale soprattutto per i ragazzi e per i più giovani, o con l’elemento lavoro.

Le due logiche.

Avete visto che tutto quello che ho detto ha girato sempre tra due parole: bene e male? A questo punto qualcuno salta fuori e dice: ma che cos’è il Bene e che cos’è il Male. Ripeto ora una cosa che ho già detto più di una volta, a questo mondo ci sono solamente due logiche. Due e non tre. La logica di chi piglia e la logica di chi dà. La logica di chi è passivo e la logica di chi è attivo, la logica di chi può prendere.

Vengo ad un esempio più concreto. Se io sarò in vena di fare affari, può darsi che ad un certo momento io dica: ah, no. 7. non rubare, no, no. E un altro dica: 7. non rubare, più in là no. Avremo disparità di opinioni. Se sto dalla parte attiva, dalla parte del dare. Se vengo sulla linea del prendere: sono un poveretto, ho pochi soldi, devo campare, e al mio posto ci passa, uno per uno tutto il germe umano, sentirete che tutto il genere umano, arrivato a quel punto, dice e dice solo questo: 7. non rubare. Ha la visione perfetta del bene e del male.

Avete capito le due logiche? Quando uno può ammazzare, può essere che discuta se sia esatto o no: 5. non ammazzare. Ma, quando uno può essere ammazzato lui, è certo che non discute mai. Il punto del diverbio tra il bene e il male è che tutti siano d’accordo in quel momento per dire: non ammazzare.

Perché io ho fatto questo discorso che pare non abbia a far niente col cinema? Invece io so che quando si è davanti al problema del cinema, la girata comoda della vigliaccheria, della grande vigliaccheria, per cui il problema si pone e non si risolve, fa dire: ma in fin dei conti i limiti fra il bene e il male sono spostabili.

Ricordatevi delle due logiche. E tutti si ricordino, tutti si ricordino che quel punto in cui si va dalla parte passiva per prendere viene per tutti. E a quel punto tutti si è della stessa idea. E tutti si accettano i Dieci Comandamenti e solamente questi. E’ la questione fondamentale del cinema, perché il cinema è il campo dove, più che sotto ogni altro cielo, gioca il relativismo morale. Relativismo morale che la Chiesa condanna con la chiarezza, la perentorietà, l’ineluttabilità eterna ed evangelica dei suoi principi.

La Chiesa alza il sipario.

La Chiesa si dà da fare per il cinema. Sapete perché? Perché vorrebbe che tutti voi rimaneste giovani e non diventaste mai vecchi, che non aveste da sognare troppo con troppo bruschi e dolorosi risvegli, sicché se anche non si possono contenere le rughe e la neve ai monti, almeno si possono mantenere intatti i lineamenti dello spirito per quanto s’ha a campare su questa terra.

La Chiesa si preoccupa della questione del cinema perché sa che le nostre generazioni possono invecchiare a vent’anni al cinema. Noi non vogliamo che la gente invecchi. Campi molto, ma non invecchi. Mantenga la sua freschezza. Noi non vogliamo che si faccia un ignobile mercato sull’anima della gente, sull’anima dei più piccoli, dei ragazzi; che per affare, per denaro si vendano queste anime e in esse si venda la loro freschezza e la loro giovinezza. No, non è per calare dei sipari che parliamo del cinema.

Ricordatelo: è per alzarli. E’ perché tutti, pienamente dico, mantengano intemerata il più a lungo possibile la loro freschezza, lo slancio, lo scatto della loro vita.

S. E. Mons. Giuseppe Siri

«Sequenze - Quaderni di cinema», anno II, n.7, marzo 1950


NOTE:
  •  (1) «La Chiesa e il cinema» è il testo di un discorso pronunciato da S. E. Mons. Giuseppe Siri, Arcivescovo di Genova, al Palazzo Ducale di Genova il 20 novembre 1948.

Note a margine

Dobbiamo rilevare la mancanza, assoluta di senso religioso, salvo rare eccezioni, nella produzione cinematografica passata e presente, asservita alla rappresentazione esclusiva del mondo esteriore delle sensazioni, delle gioie e dei piaceri abituali.

Luigi Gedda

Il film, ha una potente influenza sulla nostra società. Non ha per niente contribuito, finora, alla pace del mondo e all’elevamento spirituale dell’umanità. Utilizzato per scopi commerciali, ha servito il materialismo e il nazionalismo. Ma dal dopoguerra in poi il cinema deve servire a far conoscere le verità spirituali e contribuire alla unificazione della razza umana.

Andrew Buchanan

Il creatore di film ha una grande responsabilità davanti alla società, perché il cinema è senza alcun dubbio una delle forze che condizionano più profondamente il mondo di oggi. La coscienza del creatore di film cerca dunque di continuo di conciliare i suoi obblighi verso la società con la necessità di adattarsi agli strumenti materiali di questa industria, che è anche un’arte.

Rispondere agli appelli della coscienza piuttosto ehe tener conto degli elementi che facilitano od ostacolano la realizzazione del film è una attitudine che necessita di un grande coraggio ed una costante e ferma risoluzione.

John Boulting

I cattolici di tutto il mondo devono porsi concretamente il problema della creazione e della diffusione, su larghissima scala, di un cinema d’ispirazione cristiana. Ma il problema, per essere risotto, deve essere posto su un piano internazionale.

Vittorio Veronese


L’organizzazione delle Nazioni Unite può dare il suo incoraggiamento in favore della produzione di film di portata internazionale che prendono spunto dalle idee fondamentali della Carta delle Nazioni Unite: mantenimento della pace, tolleranza nei rapporti fra gli uomini, questione sociale, problemi economici. Senza scendere in dettagli, posso dirvi che ci sforziamo d’ottenere il. patronato del Consiglio per un’opera il cui messaggio potrebbe essere particolarmente utile atta umanità intera: il film di Maurice Cloche Dottor Laennee.

Jean Benoit-Lévy