I rigori della censura pretendono la donna in crisi
Ondata di austerity per i cartelloni pubblicitari
Dopo la guerra di disturbo e le spedizioni notturne degli attacchini incaricati di “modificare” i manifesti dei film giudicati troppo spinti, la Censura ha iniziato una vera e propria crociata contro la gambe, e le scollature
Il travolgente sex-appeal di Silvana Pampanini non piace ai questori della Repubblica; e centinaia di funzionari italiani inorridiscono, per ordine superiore, di fronte all’esuberanza fisica di Franca Marzi o alle gambe elettriche di Isa Barzizza. Per fortuna il quarto cavaliere di questa Apocalisse della bellezza conturbante, Silvana Mangano, nel suo ultimo film ha preso il velo: un problema di meno da risolvere, quindi un paio di gambe di meno da coprire.
Coprire le gambe; chiudere tutte le scollature con la chiusura-lampo di una pennellata; gettare uno scialle di colore sulle spalle delle donne in abito da sera; «minimizzare» le forme procaci delle dive del cinema. Questi sono i nuovi comandamenti, dettati ai nostri cartellonisti sul Monte Sinai della Questura; ed è necessario che essi osservino scrupolosamente le direttive impartite se vogliono evitare che una serie di manifesti pubblicitari ancora freschi di inchiostro tipografico, finisca al macero in seguito ad un «no» che non ammette repliche.
Un cartellone di Geleng, dopo essere stato stampato, fu bocciato dalla Censura per l’eccessivo décolleté di Joan Fontaine. Ebbe l’autorizzazione ad essere affisso solo quando l’autore provvide a far applicare un tassello tipografico sulla scollatura dell’attrice.
I questori, da qualche tempo a questa parte, si sono irrigiditi su una posizione di intransigente pruderie, verso la quale li ha sospinti il crescendo tambureggiante di severissime disposizioni superiori, il mitragliamento di numerose quanto riservate circolari interne. E tutto il materiale pubblicitario indispensabile al lancio di un film, dai manifesti alle brochures, dai cartelloni ai depliants, è misurato con il metro rigido di queste circolari.
Fino a poco tempo fa il permesso di affissione dei manifesti cinematografici veniva concesso dalla Direzione generale della cinematografia. Era la stessa Commissione di censura che aveva visionato il film a concedere il permesso, e ad indicare, in taluni casi, le correzioni da apportare al manifesto.
Per eliminare rischi le ditte noleggiatrici dei film presentavano alla Direzione generale della cinematografia i bozzetti dei cartelloni, e passavano poi in tipografia i bozzetti stessi approvati o modificati secondo le indicazioni della Commissione, evitando così ogni spiacevole sorpresa al momento dell’affissione. Tutto questo era, però, arbitrario; i noleggiatori lo seppero solo in occasione del lancio di un film comico uscito di recente: «La paura fa 90».
Il pittore Kremos è uno specialista in donnine. Proviene anche lui dai giornali umoristici. Da poco è passato ai cartelloni. Viene impiegato soprattutto per i film comici. Qui uno dei suoi manifesti «proibiti», quello eseguito per il film «La Bisarca».
Come al solito, anche per «La paura fa 90» la Direzione generale della Cinematografia, dopo aver esaminato i bozzetti dei cartelloni e dopo avervi fatto apportare talune modifiche, aveva dato il nulla-osta. Il film poteva dunque uscire, sfoggiando sui muri delle città italiane il suo policromo corredo pubblicitario.
Ma se a Milano ed a Palermo, a Genova ed a Roma tutto filò sui binari dell’ordinaria amministrazione, a Firenze i manifesti si arenarono sulla secca di un «veto» del questore.
I noleggiatori, convinti che Firenze fosse una città italiana e non una repubblica autonoma, una specie di San Marino della censura, chiesero immediatamente l'intervento del ministero dell’Interno, e dopo qualche giorno appresero che il giudizio del questore e il solo che conti in materia, mentre il «visto» della Direzione generale della cinematografia non ha alcun valore.
V’era una sola via d’uscita in quel labirinto di contrattempi e di contraddizioni: ricorrere al procuratore della Repubblica, chiedendo che il Tribunale, unico arbitro in materia, stabilisse, attraverso un regolare giudizio, se i cartelloni che avevano urtato la suscettibilità del questore di Firenze offendevano effettivamente il comune senso della morale o la pubblica decenza.
Enrico De Seta, che proviene dai giornali umoristici, è uno dei cartellonisti più bersagliati dalla Censura. Il bozzetto del film «L’inafferrabile dodici», con Silvana Pampanini, non ha incontrato i favori delle autorità.
"Pialleremo la Pampanini"
Un ricorso del genere significava, però, il rinvio a tempo indeterminato della programmazione del film ed il pagamento di forti penali. I noleggiatori preferirono, quindi, fare a meno dei manifesti invisi al questore e li sostituirono con banali ed innocui striscioni tipografici.
L’inaspettato provvedimento ha messo a soqquadro gli ambienti cinematografici, facendo squillare i campanelli d'allarme di tutte le case di noleggio: tanto più che, trattandosi di giudizi soggettivi, ogni cartellone approvato dalla Questura di Roma o da quella di Rovigo, corre il rischio di essere bocciato dal questore di Torino o da quello di Rieti.
Come accontentarli tutti?, si chiedono i noleggiatori ed i cartellonisti. Come fare perché un manifesto non urti la sensibilità di cento individui dalla mentalità diversa, perché non finisca tra le fitte maglie di una serie di «circolari» di cui nessun estraneo alla Questura conosce il contenuto?
Non deve esser certo una cosa facile, se qualche tempo fa uno dei più noti cartellonisti italiani è stato costretto a rifare un manifesto solo perché la donnina in esso raffigurata era in abito da sera ed aveva di conseguenza le spalle nude... «Un manifesto», mi ha detto un noleggiatore, •«costa dalle cinque alle settecentomila lire; ed è uno dei maggiori coefficienti del successo di un film. Oggi non ci è più consentito di presentare alla Commissione di censura il bozzetto e passarlo in tipografia dopo avervi apportato le eventuali modifiche segnalate dai funzionari. E' prescritta, invece, la presentazione del manifesto già stampato. Di conseguenza se un cartellone non è di gradimento del signor questore, vanno allegramente al macero sei o settecento biglietti da mille. Non è una prospettiva piacevole, come vede...».
Ballester si occupa di cartelloni per film drammatici e di avventure. Il suo manifesto per «Scarpette rosse», raffigurante una ballerina classica, fu sottoposto alla revisione degli attacchini, i quali coprirono le gambe di Moira Shearer con una striscia tipografica.
«E come vi regolerete per evitare i rigori della Censura?», ho chiesto al cartellonista.
«Elimineremo le toilettes da sera, i costumi da bagno, le ballerine, le soubrettes. Ma non basta. Anche le donne procaci danno fastidio, da qualche tempo a questa parte: perciò i cartellonisti italiani lance-ranno sui mercati della bellezza femminile la donna-crisi. Pialleremo senza pietà Silvana Pampanini, mascolinizzeremo Franca Marzi, infileremo i pantaloni d’ordinanza ad Isa Barzizza, scongiureremo Silvana Mangano di non frequentare più le risaie, pregheremo Gina Lollobrigida e Nita Dover di tenersi lontane dai palcoscenici. Solo così potremo vivere tranquilli».
Un altro pittore si è dimostrato implacabilmente meno ottimista del suo collega: «Non bastano questi accorgimenti», mi ha confessato. «Bisogna fare i conti anche con inesistenti sottintesi, che vengono scoperti improvvisamente da questo o quel funzionario a cui la natura ha dato occhi di lince. Esamina, per esempio, il cartellone di "Amor non ho, porò, però...”. Ci trovi qualcosa di diabolico? Ebbene, stava per essere bocciato perché una delle mani di Rascel è nascosta dietro lo scialle della donnina disegnata in primo piano. ”E dov’è l’altra mano?” ci è stato chiesto quando abbiamo presentato Yaffiche. Avevano trovato chissà quali terribili intenzioni in quella mano nascosta; chissà quali malizie inconfessabili in quella mano che non si vedeva».
Un altro cartellone, raffigurante una donna coperta in parte da una tavola da stiro, è stato bocciato perché spuntavano, da 6otto la tavola, le gambe nude della ragazza : ciò, a giudizio della ultra puritana Commissione, avrebbe potuto far credere che la donna fosse completamente nuda.
Prima che giungesse a questo punto cruciale, la guerra dei manifesti era caratterizzata soltanto da «azioni di pattuglia». A sera uscivano pie squadre di attacchini i quali, armati di colla, pennello, striscioni ed entusiasmo, applicavano «mutandine» di carta agli affissi più vistosi.
Era facile, allora, vedere un «prossimamente» incollato sul décolleté troppo pronunziato di una diva nostrana o straniera; e capitava con una certa frequenza di scorgere le belle gambe di una vedette del cinema coperte e valorizzate da una striscietta di carta su cui era stampato: «Grande successo».
La crociata contro le gambe e le scollature ebbe inizio tre anni or sono, e la prima vittima illustre fu Yvonne De Carlo. Nei locali romani di prima visione si proiettava «Salomé», un polpettone cinematografico interpretato dalla travolgente De Carlo, che doveva il suo pur scarso successo esclusivamente ai manifesti: in essi le grazie di Yvonne erano poste in grande rilievo. Quelle grazie, però, fecero fremere di sdegno qualcuno : una mattina i romani, abituati da qualche giorno a salutare con un sorriso di compiacimento la bella Salomé incontrandola sulla facciata di un palazzo o sull’impalcatura di un cantiere, invece di Yvonne De Carlo trovarono un signore baffuto, il quale indicava, mediante una lunga bacchetta da professore di geografia, il cinto erniario più in voga cinquant'anni or sono. Yvonne era sparita sotto quei manifesti e quel poco che era ancora visibile di lei indicava un profondo sdegno ed un profondo disgusto per il troppo invadente signore baffuto.
La cosa destò un certo scalpore, ma finì senza strascichi; così come senza strascichi di pubblico, finì, nelle sale di terza visione, «Salomé», polpettone cinematografico non più sorretto dal corredo pubblicitario.
Poco tempo dopo la sorte toccò ad un film italiano: «Accidenti alla guerra». Alcune ballerine, naturalmente nella loro tenuta di ballerine, furono diffidate di apparire sui manifesti con tutto il contorno di gambe che madre natura aveva loro elargito per difendersi dall’indifferenza degli uomini: e le girls, due giorni dopo l’affissione del manifesto, subirono una triste per quanto indolore operazione. Per evitare che tante belle ragazze poco vestite rischiassero di prendere un raffreddore, sfidando nel loro sommario abbigliamento i rigori dell’inverno, gli attacchini provvidero a coprirle con strisce di carta o vecchi giornali.
Boccasile è uno dei più apprezzati cartellonisti italiani. Raggiunta la notorietà per la sua attività giornalistica, anch’egli non è sfuggito ai rigori della Censura. Ecco un suo bozzetto originale.
Da Erode a Pilato
Una sorte più dolorosa toccò a Virginia Mayo. Sul manifesto del film «Sogni proibiti» la bellissima attrice "bikinizzava” il comico Danny Kaye con le sue gambe di fattura perfetta. Per due giorni gli impiegati romani la salutarono, il mattino, recandosi in ufficio. Il terzo giorno pensarono se non fosse il caso di andare in ospedale a trovare Virginia. La diva, infatti, durante la notte aveva sùbito un doloroso intervento chirurgico: le erano state amputate tutte e due le atomiche gambe. Accanto a lei Danny Kaye continuava a sorridere, ma sotto la maschera di quel sorriso nascondeva senza dubbio un profondo dolore.
Così, una dopo l’altra, tutte le attrici ebbero a subire amputazioni più o meno dolorose. I cartellonisti incominciarono ad esser richiamati all’ordine e dovettero coprire di veli le loro figurine ; i costumi da bagno furono allungati fino a sfiorare il ginocchio, i '"puntini” delle ballerine si trasformarono in toilettes da ballo di beneficenza, le scollature vennero gradualmente ridotte fino ad assumere proporzioni e rango di un nodo scorsoio.
Le immancabili proteste, i colloqui ufficiosi dei distributari di film o dei cartellonisti, le richieste di spiegazioni rimbalzarono da un ufficio all’altro, senza che nessuno dei funzionari interpellati prendesse su di sé la responsabilità di quanto accadeva.
Tutti coloro ai quali venivano chieste spiegazioni in proposito, sia che si trattasse di pesciolini boccheggianti nel mare della burocrazia, sia che si trattasse di pezzi importantissimi della scacchiera ministeriale, allargavano le braccia, si stringevano nelle spalle e si trinceravano dietro i sacchetti di sabbia delle "disposizioni superiori”. Nessuno, a suo dire, trovava nulla da obiettare su questo o su quel manifesto che, in fondo, non presentava nulla di conturbante, di offensivo, di impudico. Ma...
Un «ma» dietro il quale si nascondeva tutto un mondo di telefonate, di pressioni, di colloqui, di "grane".
La paura delle *'grane", il terrore bianco che incombe su tutti gli uffici italiani, incominciò a governare anche il mondo dei manifesti. Ed i cartellonisti si diedero da fare per allungare i costumi, coprire le gambe, evitare le scollature, imporre alle donnine lé mezze maniche, in attesa che, per ordini superiori, anche i guanti di filo figurassero nei corredi pubblicitari di un film.
Intanto, nottetempo, gli attacchini continuavano a correggere gli eccessi anatomici dei nostri disegnatori, allungando con quadratini di carta mutandine a loro avviso troppo corte, correggendo con vecchi giornali toilettes troppo vistose non per quel che si vedeva, ma per quello che passanti maliziosi avrebbero potuto intravedere.
Nessuno si oppose a questi pacifici arbitri; nessuno pensò che il fiume della censura avrebbe potuto, prima o poi, rompere gli argini. Per amor di pace i noleggiatori lasciarono correre : e continuarono a prendere d'infilata gli uffici del ministero, nella speranza di poter, un giorno, discutere la cosa con qualcuno che non avesse sospesa sub capo la spada di Damocle di ordini superiori da rispettare o da far rispettare. «Se dipendesse da me...» assicuravano tutti. E passavano la pratica agli "atti".
Gli impresari delle più note compagnie di riviste si videro rifiutare, a Roma o a Viterbo, il permesso di affiggere un manifesto che avevano potuto liberamente affiggere a Milano o a Ferrara; si videro negare, dalle autorità di Livorno o di Pisa, l’autorizzazione per un manifesto che non aveva scandalizzato né le autorità romane né quelle vicentine, Poi, improvvisa, è giunta la stretta di freni finale. Decine di manifesti furono bocciati, perché si vedevano due o tre centimetri di gambe più del consentito dal questore; milioni furono bruciati da un "no” senza appello.
Oggi i cartellonisti ed i noleggiatori si chiedono se è lecito laccare sul manifesto le unghie di una .bella donna; o se è più prudente mostrare al pubblico le dive che vanno al bagno in pelliccia e, possibilmente, in stivaloni. E nessuno ricorre alla Magistratura, poiché un giudizio richiederebbe troppo tempo, ritardando l’uscita del film; e perché per ogni manifesto sarebbe necessario sottoporsi ad un lungo e costoso procedimento giudiziario.
Pasquale Curatola, «Settimo Giorno», anno V, n.13, 27 marzo 1952.
![]() |
Pasquale Curatola, «Settimo Giorno», anno V, n.13, 27 marzo 1952 |