Stasera ho vinto anch'io
Ho rivisto Mitri subito dopo la sconfitta e gli ho gettato le braccia al collo: non ho cessato di volergli bene anche se ci siamo separati. “Niente è perduto, Tiberio” gli ho detto, “tornerai a combattere e vincere, ne sono certa.”
È la breve storia di tre giorni trascorsi a Milano, in una coincidenza per me assai triste e piacevole, insieme. È il ricordo di una bruciante sconfitta subita da Tiberio, che mi ha, però, fatto capire quanto bene io voglia ancora a mio marito. La breve storia è incominciata così. Da Aulla, in provincia di Massa Carrara, dove mi trovavo a «girare» gli esterni del mio ultimo film. La tempesta è passata, raggiunsi Milano, giovedì sera. A Milano pensavo di fermarmi al massimo due giorni, e cioè fino a sabato, per ragioni di carattere professionale. Ma sabato sera, quando avrei già dovuto essere in treno diretta a Roma, ero ancora a Milano.
Fulvia Franco e Mitri sono legalmente separati, ma lei è accorsa presso il marito non appena saputo della sua sconfitta.
Qualcosa più forte di me mi trattenne: uno strano presentimento, forse. Sapevo benissimo, è naturale, che Tiberio proprio sabato sera avrebbe incontrato Humez, in un combattimento molto impegnativo, ma non sarei apparsa in scena, neppure con una telefonata, per non far sorgere dei malintesi, anche se sentivo la prepotente necessità di far giungere il mio affettuoso augurio a Tiberio, prima dell’incontro.
È chiaro, infatti, come un «documento» di separazione legale non avrebbe potuto por freno al mio istinto, specie se vi dirò che, nonostante il «documento», tra Tiberio e me i rapporti di amicizia e di affetto dei primi anni di matrimonio sono rimasti tali. Mi fermò, invece, un ragionamento ben preciso e imprescindibile: quello che fa la moglie di un campione dello sport, quando deve ricordarsi che suo marito appartiene anche alla folla degli sportivi e dei suoi sostenitori. Gli sportivi, tante volte, diventano irragionevoli fino al punto di attribuire la colpa della sconfitta del loro beniamino anche ad una innocente telefonata di una moglie.
![]() |
É la seconda volta che Mitri incontra Humez, ed è la seconda volta che ne esce battuto. Il primo «match» ebbe luogo a Parigi il 22 ottobre 1951 (foto a sinistra) |
Tiberio era reduce dal fallito attacco al titolo mondiale, detenuto da La Motta, e non seppe resistere all’irruenza dell’ex minatore francese. | ![]() |
![]() |
Qui sopra e sotto alcune fasi del combattimento di sabato scorso. |
Humez per tre volte ha costretto al tappeto il pugile triestino, che, col sopracciglio sinistro sanguinante, ha finito per rifugiarsi alle corde. | ![]() |
![]() |
L’arbitro svizzero Nicole ha arrestato l’incontro dichiarando Mitri battuto per «K. O. tecnico». |
Cosi non telefonai a Tiberio, ma di ora in ora, durante tutta la giornata di sabato, lo seguii col pensiero, costantemente; e, pensandolo, lo vidi al peso, al ristorante mentre mangiava «su misura», in mezzo ai suoi tifosi. E continuai a restarmene tra le quinte, in attesa che giungesse l’ora del combattimento.
Una piccola folla di giornalisti e fotografi faceva intanto ressa nel vestibolo del mio albergo in attesa di qualche notizia clamorosa. Qualcuno mi aveva individuata a Milano e subito si era sparsa la voce ch’io, in serata, mi sarei recata al Palazzo dello Sport ad assistere all’incontro. Lo negai. Al «Palazzo» non sarei andata in nessun caso, giacché solo una volta, da quando ho sposato Tiberio, vidi mio marito sul quadrato e cioè quando s’incontrò con La Motta. Il quadrato mi ha sempre fatto paura e tanto più al pensiero di vedervi girare sopra Tiberio.
Alle dieci di sabato sera ero ancora in albergo, dopo essermi assentata per qualche ora nel pomeriggio, per la colazione. Ero in camera mia, distesa sul letto con la sola compagnia dell’impercettibile ticchettìo del mio orologio che «camminava» più adagio di una lumaca, quasi avesse deciso improvvisamente di dare ai minuti l’importanza delle ore. Ero assorta e fumavo, una sigaretta dopo l’altra. Quando sentii squillare per l’ennesima volta il campanello del mio telefono balzai da letto, come se qualcosa fosse scoppiato sotto il pavimento. Era un giornalista che voleva accertarsi se effettivamente ero rimasta in .albergo, anziché andare al «Palazzo». Gli chiesi l'ora, come se il mio orologio non bastasse, «Sono le dieci e cinque, signora...»
Charles Humez, dopo la vittoria, riceve l’abbraccio della moglie. Secondo i competenti, neppure il nuovo campione d’Europa ha le qualità per arrivare a minacciare Bobo Holson, detentore del titolo mondiale per la categoria dei pesi medi. A destra: l’immagine della sconfìtta. Secondo alcuni tecnici Mitri è salito sul «ring» a Milano già moralmente battuto.
Sono le dieci e cinque, signora... Sono le dieci e cinque, signora... Come in un ritornello la voce di quel giornalista mi ronzò nelle orecchie fino ad esasperarmi. Non resistetti più. Scesi nel vestibolo dell’albergo per vedere qualcuno, per non sentirmi più cosi sola. Non mi bastò. Allora uscii per raggiungere un ristorante vicino all'albergo. Non avevo ancora pranzato e pensavo di prendere una tazza di brodo.
Al ristorante trovai un conoscente, un impresario teatrale e il mio cuore finalmente riprese a battere ad pensiero di poter scambiare quattro chiacchiere con un amico. Mi sedetti al suo tavolo. Ordinai il brodo. Poi dissi: «A quest’ora Tiberio sta salendo sul ring...» Erano le ventidue e trenta di sabato, l’ora fissata dal programma per l’incontro di Tiberio.
L’amico non aperse bocca. Mi guardò come si guarda una madre che non sa di aver perduto il figlio. Poi, finalmente, mi disse: «L’incontro di Tiberio è incominciato prima dell’ora prevista. Come glielo devo dire?... Tiberio è stato sconfitto...»
«Non è possibile... Non può essere!» E fui sulla soglia del ristorante alla ricerca di un tassì. Qualcuno me lo chiamò. Al Palazzo dello Sport, dissi airautista, a tutta velocità. Ho molta fretta. La strada mi sembrava non finisse più. Più forte, la prego... Giunta al «Palazzo» raggiunsi subito gli spogliatoi. «Dov’è?...» chiesi al primo che incontrai. «Chi?» «Tiberio!» «Sta facendo la doccia.»
Aspettai Tiberio nel suo camerino. Venne e appena mi vide, mi disse: «Che fai tu qui? Che cosa sei venuta a fare?»
L’immagine della vittoria: Humez (a destra) ha la grinta del lottatore tenace. Egli ha imposto all’avversario il suo gioco; ora, sorridente (a sinistra), si propone di confermare nei prossimi incontrala sua resurrezione per presentare la candidatura ai titolo mondiale.
Aveva l’accappatoio sulle spalle e con una salvietta si asciugava il viso. Tacqui. Lo guardai da capo a piedi: era bello, lucido di mente, sano e salvo come prima, insomma. Mi sentii un’altra, come fossi rinata a nuova vita: il mio cuore si fece grande come una casa; il peso della trepidazione, dell’ansia, della paura era ormai una cosa molto lontana, dimenticata. Guardai Tiberio, ma non apersi bocca. Né mi sarei rattristata se Tiberio m’avesse cacciata via. Ma Tiberio non mi cacciò, ché non aveva motivo per farlo anche se la mia presenza in un momento «duro» della sua carriera l’aveva messo, in un certo senso, in imbarazzo.
Restammo soli in camerino per dieci minuti. Tiberio non parlava. I suoi occhi si perdevano in una profonda, infinita tristezza. La sconfitta aveva punto il suo orgoglio, ma Tiberio soffriva anche -
e non poco - pensando ai suoi tifosi, al dolore dei suoi sostenitori. Gli gettai le braccia al collo: lo baciai e sentii il calore di due lacrime che tentavano di inserirsi tra le nostre guance. «Come stai Tiberio?» gli chiesi, passandogli una mano sulla ferita sopra l'occhio sinistro.
«Sto bene, Fulvia, come vedi. Però... tutto è perduto.» «Niente è perduto, Tiberio. Tornerai a combattere e a vincere. Sei incappato in una serata infelice: ecco tutto. Ma ti rifarai, Tibe, ne sono certa.» «Sì, Fulvia, voglio rifarmi.»
Dieci minuti dopo uscivo dal «Palazzo» per rientrare al mio albergo, ad attendere una telefonata di Tiberio. Qualcuno all'uscita, riconoscendomi, volle forse sfogare su di me la sua amarezza per la sconfitta subita da Tiberio e mi indirizzò qualche parola non propriamente... accorata. Dicono che sia il «tifo» a giocare questi scherzi alle lingue dei tifosi. Quindi: transeat.
Verso la una dopo mezzanotte Tiberio mi telefonò e mi mandò a prendere all’albergo dal nostro amico Mario Carotenuto. Ci ritrovammo in Via Manzoni e scendemmo in un night-club a concederci qualche ora di svago. La mattina successiva telefonammo al nostro Alex, a Roma.
«Papà, che mi porti quando vieni a casa?» chiedeva il nostro bimbo a Tiberio. «Una bella cosa, vedrai!»
«Il signore raddoppia?» chiedeva la signorina del telefono. E Tiberio continuava a discorrere con Alex, a fare i versetti, le moine come un bambino.
Lasciammo l'albergo nelle prime ore del pomeriggio di domenica e insieme con il giornalista Decio Siila ci recammo a colazione alle Colline Pistoiesi. Alle cinque rientrammo. Poi, restai nuovamente sola con Tiberio. Parlammo di molte cose, ma mai ci soffermammo su un programma per il futuro che non fosse quello del ritorno di Tiberio sul ring, con rinnovata volontà. Intanto Ti-berio andava ritrovando se stesso, la sua serenità, il suo morale. Danzammo al suono del radiogrammofono di Tiberio, nel vestibolo dell’albergo. Finché venne l'ora di pranzo. Pranzammo insieme e andammo poi a trascorrere la serata al night club dell’albergo.
Il giorno dopo, verso mezzogiorno, Tiberio partì per Pavia ed io, in serata, rientrai a Roma.
Fulvia Franco, «Epoca», anno V, n.216, 21 novembre 1954
![]() |
Fulvia Franco, «Epoca», anno V, n.216, 21 novembre 1954 |