Totò e Beniamino Maggio, il festival dell'avanspettacolo al Sistina

1964 Beniamino Maggio Sistina

Garinei e Giovannini, come nel loro costume anche di impresari, fanno tutto alla grande, aiutati da Romano Camini, inseparabile collaboratore di tutte le loro iniziative teatrali. Dal 13 al 19 giugno del 1964 il Sistina si offre, in tutto il suo splendore - annunziato finanche dalla luminosa all’esterno del teatro, pubblicità sul modello usato dai teatri di Broadway -, agli ultimi rappresentanti di un mondo di nobili guitti ancora in grado di produrre straordinarie gemme.

Le formazioni iscritte al Festival rappresentano il meglio dell’esistente di una “specie” in via d’estinzione. L’avanspettacolo, infatti, sta morendo ma i suoi ultimi resistenti - di uno, in particolare, di Trottolino, avremo modo di dire più avanti, perché il suo abbandono segna a Napoli la definitiva scomparsa del genere teatrale - promettono scintille.

Il primo “incontro” vede di fronte la compagnia del barese Nino Lembo opposta a quella di Enzo La Torre e Lia Grisi. Lembo, che ha già avviato con successo un’attività artigianale per la produzione di bigiotteria teatrale e cinematografica, si presenta con un allestimento scenico che imita quello tipico delle riviste di Wanda Osiris prodotte da Remigio Paone: tanto di scale, piattaforme girevoli, un uso abbondante di costumi sfarzosi, un trionfo di veli e lustrini.

Ma, se l’occhio vuole la sua parte, non bisogna mai dimenticare tutto il resto; la scafata comicità “pesante” di Lembo non basta a convincere i signori giurati che lavorano divisi in due postazioni: in barcaccia ci sono Federico Fellini, Mario Monicelli, Michelangelo Antonioni, Marcello Mastroianni, Andreina Pagnani, Sofia Loren, Aldo Fabrizi, Ugo Tognazzi, Alberto Sordi, Nino Manfredi. Annunziata la presenza, udite udite, di Sua Altezza Totò e del suo Fido Mario Castellani. In platea c’è la giuria popolare costituita da una rappresentanza del pubblico. A raccogliere i voti è Lello Bersani, “la voce” dello spettacolo italiano.


La squadra di Beniamino deve vedersela con quella di Derio Pino, un beniamino dei teatri popolari romani. “Cardino”, in piena forma, perciò zompettante come non mai, è con Rosy Zampi, Alfredo Marchetti, Cesare Marchi, Angela Galax, Natalia Vastarini. Rita Roselen. Come terzo comico c’è un giovane pugliese che ha già scavalcato le sue montagne: Lino Banfi, ex Lino Zago. Rosalia non ha potuto presentarsi all’appello perché il responsabile della produzione di un filmetto che si sta girando in Abruzzo non le ha dato il permesso.

Un uragano di applausi saluta il passaggio del turno da parte della compagnia di Maggio che, in semifinale, affronta quella di Enzo La Torre. È ancora successo per “Cardillo” e per i suoi. Intanto le cronache segnalano il tonfo della turca Aikè Nanà - la “scandalosa” spogliarellista entrata nel cast felliniano della Dolce vita - nel confronto con la formazione di Antonio e Mario De Vico. È andata male anche a Rosa Madia, sconfitta dalla compagnia di Fredo Pistoni che, in finale, ottiene l’onore delle armi. Non può sperare in una conclusione diversa.

«Durante la cerimonia della premiazione. Sofia riuscì a darmi un bacio e a sussurrarmi in un orecchio: Beniami’, si’ tutta Napule! Il mio vecchio amico Totò disse che aveva sentito nella mia voce, nelle mie gag, il teatro della sua gioventù. Dalla sala arrivò il “bravo” di mio fratello Dante, un complimento davvero raro visto come era fatto Dante».

Beniamino consacrava con il trionfo al Sistina quarant'anni di presenza nell’avanspettacolo, un rapporto quasi totale perché le uscite dal genere sono sempre brevi e la più “lunga” è quella delle stagioni con la “Scarpettiana”, la compagnia fondata da Eduardo in occasione della riapertura del San Ferdinando nel 1954; e per Il contratto sempre con Eduardo. A proposito di avanspettacolo, per cercare una precisa data d’inizio. Beniamino partiva da Taranto.


Così la stampa dell'epoca


Comicità vecchia e nuova nel primo festival dell'avanspettacolo

Oggi si ride grasso

Per trent’anni la filastrocca di Pulcinella è stato il cavallo di battaglia di Beniamino Maggio. Ma da qualche tempo si è accorto che non funzionava più, che la gente non rideva più. Allora ha aggiunto una bella ragazza, procace e spogliata, e molte battute grevi e doppi sensi. Ora il pubblico ride di nuovo. Ride quando Pulcinella fa la lezione di geografia sul corpo della ragazza: la bocca è il lago di Garda, i seni sono le Dolomiti, l’ombelico è il lago Trasimeno, ed il resto delle definizioni è facilmente immaginabile ma non altrettanto facilmente riferibile.

Varieta Avanspettacolo CC

«E’ avvilente, ma ormai per fare ridere la gente bisogna tirare fuori la battuta sporca, il gesto volgare, la frase oscena. Il pubblico si è guastato, il nostro mestiere si è degradato — dice con tristezza Beniamino Maggio. — Sono cinquantun anni che recito sui palcoscenici dell’avanspettacolo ed ho dovuto assistere con amarezza al brusco scadere del gusto del pubblico. Ho cercato di resistere fino all’ultimo, ma gli impresari mi protestavano se non introducevo anche io quelle battute pesanti che piacciono alle platee di oggi».

Arrivando sul grande palcoscenico del Sistina per il Festival Nazionale dell’Avanspettacolo, brillantemente voluto e lanciato da Garinei e Giovannini, la maggior parte delle compagnie ha ripulito i copioni di molti doppi sensi, di molte battute spinte, ma ovviamente l’impostazione di fondo è rimasta, tutta tesa nella direzione di un erotismo assai greve. Il pubblico del Sistina però, per quanto raffinato e perfino sofisticato, è stato generoso: ha capito che questa comicità un po’ volgare era una esigenza di quel tipo di spettacolo, diretto normalmente a platee ben diverse, ed ha saputo quindi vedere la bravura di questi artisti al di là delle battute spinte e ridanciane. «Avevano tutti molta paura di affrontare il pubblico del Sistina — dice Garinei — ma in realtà il pubblico della periferia e della piccola ribalta davanti al quale normalmente si esibiscono questi artisti è molto più difficile, molto più pericoloso, molto più crudele di quello dei teatri di rivista».

«Certo Walter Chiari può dirla la barzelletta pulita, ma solo perchè ha un pubblico ben diverso dal nostro. Se Chiari arrivasse, con baffi finti e irriconoscibile, sul palcoscenico dell'avanspettacolo nessuno riderebbe delle sue battute. Anzi il pubblico lo distruggerebbe. Purtroppo per noi non c’è altra via d’uscita che la battuta greve»: una riflessione piena di amarezza di Tony D’Ambra, un comico della giovane leva. E questa constatazione è confermata anche dai fratelli De Vico, da oltre trent’anni sulla breccia dell’avanspettacolo: «Un tempo il pubblico era buono e semplice: si divertiva con entusiasmo alle farsette più innocue. Oggi non basta neppure più la battuta pesante: certe volte, specie nei piccoli cinema di periferia, bisogna arrivare al gesto volgare, bisogna mettere le mani addosso alla soubrette. E’ un fenomeno che si è manifestato dopo la guerra ma che da tre b quattro anni è diventato ancora più spiccato. Forse non è estraneo il cinema che a sua volta si è fatto sempre più volgare. Certo alcune volte ci succede di vergognarci di fare questo mestiere che pure tanto amiamo e che ci è stato tramandato dai padri».

«Ma proprio sentendo queste scurrilità che ha voluto il pubblico diventa aggressivo, maleducato, pericoloso — dice Beniamino Maggio. — Ed allora trascende». «Le ragazze vengono offese, fatte segno ai lazzi più volgari — aggiunge Rosy Zampi, soubrette alle prime armi. — Certe volte si ha veramente paura ad uscire in passerella». «Gente scamiciata che dalla platea grida vedendo sfilare le ballerine: "che me ne incarti una, la più bbona”. E cose anche più volgari — dice Pietro De Vico. — E tirano i coni gelati addosso alle ragazze. Il dialogo, aperto e forse ingenuo che una volta si aveva con la platea non è più possibile proprio perchè il rapporto degenera subito nella volgarità».

Non c’è più rispetto per gli artisti

Certo ci sono differenze fra pubblico e pubblico. Quello più greve, che esige la battuta oscena ed il doppio senso pesante è in genere il pubblico delle sale di periferia delle grandi città, specie nel Nord. Sono spesso platee in cui gran parte hanno gli emigrati meridionali, operai che fuori del loro ambiente hanno perso ogni inibizione ed anzi reagiscono ad anni di tradizione moralistica rigida ed ipocrita. Infatti scendendo nei loro paesi d'origine, cioè nella piccola provincia del Sud, l'avanspettacolo incontra il pubblico più contenuto e discreto. Forse è un pubblico inibito per quel che riguarda il sesso, comunque ha paura anche di ridere delle battute volgari. Nelle tournée al di sotto di Napoli i copioni si ripuliscono e torna in onore la farsa. In Sicilia, poi, vi è il pubblico più corretto: al doppio senso reagisce negativamente.

«E' anche una questione di rispetto dell’artista — dice Gennarino Vollaro, anche lui comico per tradizione di famiglia. — Il pubblico della provincia guarda ancora a noi con stima, mentre quello delle città ci disprezza. E’ un circolo vizioso: pretende le volgarità e le sconcezze, e poi ci disprezza perchè gli diamo le volgarità e le sconcezze». «Devo continuare ad amare il pubblico perchè mi dà da mangiare, ma mi avvilisce sentirmi considerato da lui con tanto disprezzo», dice Derio Pino, una delle figure più patetiche e commoventi del Festival. E' sulle scene da più di trenta anni, insieme a sua moglie Grazia Cori. Si sono battuti con un coraggio quasi disperato, alla fine dello spettacolo erano distrutti, disfatti dalla fatica e dall’emozione. «Questo grande palcoscenico non è un traguardo per noi: ormai è troppo tardi e non cl arriveremo più. E’ solo una breve parentesi d’illusione: domani si torna sulle piccole ribalte, offerti al ludibrio d’un pubblico troppo spesso cattivo». E la moglie aggiunge: «La gente non ci ama più. Credono che sia facile fare sgambetti e sberleffi sul palcoscenico e per quattrocento lire vogliono avere il diritto ad offenderci, a lanciarci frecciate che ci fanno arrossire pure dopo tanti anni di avanspettacolo. I soli che ancora ci rispettano sono gli spettatori delle piccola provincia».

Chi affronta il pubblico sul suo stesso terreno con spavalderia i Aiché Nanà, forse perchè appartiene ad una generazione nuova, perchè non ha tradizioni di spettacolo, perchè ella stessa è nata dallo scandalo. I numeri che ha eseguito sul palcoscenico del Sistina hanno fatto passare un quarto d’ora di brivido a Garinei e Giovannini che temevano il peggio, aspettavano un’irruzione della polizia, vedevano il pericolo d’una grossa grana. Una danza del ventre fin troppo allusiva eseguita in passerella in un costume dei più succinti, una danza di Salomè piena di sottintesi erotici, delle contorsioni che hanno mozzato il fiato anche agli spettatori più evoluti del Sistina, abituati ad andare a vedere gli spogliarelli integrali di Parigi e di Soho. «Ogni tanto dalla platea mi gridano: spogliati tutta, fai come al Rugantino! — dica Aiché Nanà. — Ma è una manifestazione simpatica, un segno di cordialità. Il Rugantino stata tutta una montatura della stampa, non c'era nulla di strano che una ballerina in una festa privata si spogliasse. A Parigi ho visto ben di peggio. E’ stata una storia che mi ha molto danneggiato nel cinema e mi ha respinto verso l’avanspettacolo, ma debbo dire che il pubblico della piccola ribalta mi ha accolta con molto calore».

E' qualunquista la battuta politica

La tendenza opposta è rappresentata al Festival da Enzo La Torre, un comico che tende ad un umorismo vagamente surreale, un po’ alla Dario Fo. Un esempio della sua conicità. arriva un agente segreto del traffico. «Siete in contravvenzione per l’art. 540 e l’art. 459». «No, non potevo tenere la mano perchè le avevo tutte e due sul volante». «Allora togliamo l’articolo 459. Dunque 540 - 459 = 81. E’ colpevole d’infrazione all'art. 81». «Ma cosa dice art. 81?» «Multa per apertura abusiva di salumeria. Lei non ha salumerie? Allora scusi, ho sbagliato». Enzo La Torre, che viene dalla provincia, crede in un tipo di comico nuovo, un personaggio che non ride mai, dall'aria un po’ ottusa ma con una logica personale. «Il pubblico dell'avanspettacolo è diseducato. Ormai ride solo alle volgarità; ma se il comico ha personalità riesce ad agganciarlo anche ad un umorismo serio. Bisogna recitare guardando uno per uno in faccia: allora si vergognano di chiedere le oscenità».

Il contrasto tra vecchio e nuovo è vivissimo nell'avanspettacolo. Nino Lembo, un veterano di questo genere di teatro, vuole ancora far ridere la gente con la filastrocca della festa di nozze in barese, tutta giocata sulle parole buffe, ma Beniamino Maggio preferisce mettersi sulla scia televisiva di Biblioteca di Studio Uno e dà una parodia dei «Promessi Sposi» con ritornelli su motivi di successo. La barzelletta politica è una manifestazione vivace del nuovo corso, benché molti comici abbiano timore di maneggiarla poiché un brigadiere troppo zelante può fermare lo spettacolo. Sono comunque sempre barzellette semplici, ovvie. Come queste: «a Livorno ci sono i quattro mori e non danno fastidio a nessuno, invece a Roma ce n’è uno solo e non se ne può più;  perchè Fanfani va al mare? Per diventare moro;  perchè Fanfani ha licenziato la cameriera? Per poter rigovernare;  cos’è quella frezza bianca di Moro? L’unica cosa chiara che ha in testa;  perchè in Italia il progetto spaziale è stato affidato alla Coltivatori Diretti? Perchè gli italiani sulla luna ci andranno col cavolo». Poi ci sono le solite battute sulla legge Merlin, su Nenni equilibrista, e magari sul motivo delle Kessler «Pollo e champagne» la canzoncina sui deputati che mangiano a Montecitorio. E’ un umorismo qualunquista che si riassume nel refrain dei De Vico sull’aria dell’hully gully dei Watussi: «siamo i più fessi / quando votiamo / eleggiamo sempre gli stessi. / Anche chi non sa far niente / chi ha il cervello minorato / qui facciamo deputato».

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Nino Lembo per anni ha fatto ridere le platee con una barzelletta «sicura»: il barese che viene a Roma, non vuol pagare il pedaggio su Ponte Sublicio riservato ai forestieri, al gabelliere che gli chiede di dove venga risponde «rumeno» (romano con pronuncia barese) e paga doppio come straniero. Oggi la barzelletta che funziona sempre è quella della villa costruita senza servizi igienici ed abitata piano per piano dai vari partiti: battute grevi che culminano in quella «I democristiani sono vent'anni che stanno al gabinetto e non hanno ancora fatto niente». Politica e scurrilità: una formula che serve a far ridere il pubblico dell’avanspettacolo d’oggi.

Eppure dietro tutto questo cl sono molti validi talenti, molti artisti di buona lega che si devono sacrificare alle esigenze deteriori del pubblico periferico. Il Festival di Garinei e Giovannini ha avuto il merito di metterli in luce, di rivelarli ad un pubblico qualificato nel quale c’erano registi, produttori, impresari di alto bordo. Antonello Falqui, regista di «Studio Uno», ha deciso che nella prossima edizione del suo spettacolo televisivo includerà un angolo riservato all’avanspettacolo. E’ almeno ima promessa ed una speranza per questa gente che in questo Festival ha impegnato tutto. Cl sono state compagnie che hanno comprato costumi nuovi, scenari nuovi, lustrini nuovi. E nulla appare cosi povero come la gente povera che cerca di vestirsi a festa. Non era esibizionismo, non era speranza di guadagno: era il desiderio, sincero e patetico, di gente che da trenta o quarantanni vive ai margini dimenticati spettacolo, il desiderio di santini almeno per una volta «artisti vari».

Luigi Costantini, «Settimana Incom Illustrata», anno XVII, n.26, 28 giugno 1964


Concluso il primo festival del «Sistina» - Sull'avanspettacolo pioggia di premi e scritture - Prima classificata la compagnia di Beniamino Maggio - Totò, alla fine della manifestazione, ha rivolto parole commosse: in platea sedevano molti divi, tra cui Sofia Loren

[...] A questo va aggiunta la sorpresa di gran parte del pubblico che ha « scoperto » certe do ti degli artefici dell’avanspettacolo: e gli spettatori più sofisticati che si erano recati la prima sera al « Sistina » forse con l'idea di sorridere ironicamente delle formazioni in gara, sono stati invece calamitati e son tornati ogni sera ad applaudire. [...] La rapida cronaca si deve chiudere invece annotando gli abbracci fra vincitori e vinti, la passerella compiuta insieme dalle compagnie finaliste di Maggio e di Pistoni, le parole commosse che Totò dal palcoscenico ha rivolto al pubblico dal quale veniva applaudito calorosamente. Nessuno aveva sentito quelle parole ed egli le ha ripetute al microfono: «Dio ve ne renda merito», ha detto e c'era in quella frase il ricordo di tanti anni duri e gloriosi della sua vita di avanspettacolo prima di interpretare 75 riviste e 102 film. Ora si parla già del festival dell'anno prossimo

Alberto Ceretto, "Corriere della Sera", 21 giugno 1964


Riferimenti e bibliografie:

  • "Tempo di Maggio: Teatro popolare del '900 a Napoli" (Nino Masiello), Tullio Pironti Editore, Napoli, 1994
  • Luigi Costantini, «Settimana Incom Illustrata», anno XVII, n.26, 28 giugno 1964
  • Alberto Ceretto, "Corriere della Sera", 21 giugno 1964