Marcello Mastroianni: «continuerò a fare l'autista di tassì»
In questo articolo scritto per “Tempo", Marcello Mastrojanni, attraverso una serena autocritica, esprime la sua opinione di attore su certi aspetti e certe cause profonde della attuale crisi del cinema italiano
Roma, aprile
In linea generale la pubblicità è producente agli inizi della carriera di un attore, se essa è legata a qualità reali. La cosa più negativa è quella di deludere l’aspettativa creata artificialmente nel pubblico. Gli americani, per esempio, non commettono mai questo errore: Montgomery Clift, Marion Brando e lo scomparso James Dean sono stati molto esaltati, ma la loro abilità ha poi dato piena conferma e giustificazione alla pubblicità fatta intorno ai loro nomi prima ancora che questi fossero noti. Ritengo che la pubblicità sia necessaria per il lancio, in quanto accelera la popolarità, ma ritengo anche che a successo compiuto sia meglio farne il meno possibile, perchè per un attore la migliore pubblicità è data da una perfetta interpretazione in film altrettanto buoni!
Forse, se io avessi accettato tutte le interviste che mi hanno proposto avrei avuto maggiori possibilità di guadagni; ma le ho evitate perchè sono convinto che questo può determinare una più breve vita artistica. Quando si è detto tutto su di un attore, scandagliata la sua personalità, la sua vita privata, nel volgere di due anni l’interesse del pubblico si esaurisce. La vera e unica pubblicità è nella buona produzione. Un attore può soltanto ingannare il pubblico, se ottiene per mezzo della pubblicità quei consensi che non riesce a ottenere con i suoi film. Io sono centrano a questo genere di popolarità e d’altronde non ho mai avuto un film dall’inizio della mia carriera sul quale poggiare una giustificata campagna pubblicitaria. Per questo penso di essere stato considerato per la prima volta e valutato da un pubblico che mi trovava inedito, in due film che più degli altri si sono avvalsi della mia interpretazione: "Peccato che sia ima canaglia” e "Giorni d’amore”.
MARCELLO MASTROJANNI è nato a Fontana Liri (Frosinone) nel 1924. Figlio di un operaio, venne a Roma con la famiglia quando aveva otto anni. Lavorando dove gli capitava, si mantenne agli studi sino ad ottenere il diploma di perito industriale. Si iscrisse anche alla università, ma è ormai "fuori corso” da sette anni. Da una Compagnia studentesca passò a recitare con Nino Besozzi, poi con Paolo Stoppa. E’ sposato e ha una bimba di quattro anni.
Ritengo attualmente la produzione italiana mediocre: quella straniera non è migliore della nostra ma la maggior produzione dà agio di presentare tra i molti qualche buon film. Confrontando la produzione italiana a quella francese, posso solo dire, a loro merito, che i francesi fanno del cinema in maniera molto personale, mentre noi, pur non potendolo, vogliamo imitare gli americani; e abbiamo perduto la nostra vena originale. I francesi non imitano e anche se i loro film non sono sempre migliori dei nostri, sono più seri e più degni di considerazione. Di conseguenza, mentre la loro e unicamente una crisi economica, la nostra è una crisi sia economica che di idee.
D’altronde un regista è costretto troppo spesso a cedere nei confronti del produttore. Partendo dal desiderio di un forte incasso il produttore si dimentica spesso che un film può piacere anche se non è volgare. Molti dei film che io stesso ho interpretato sono una prova di questa crisi; infatti, essi non hanno neppure un carattere nazionale, ma solo regionale. I cinematografari si attaccano ad un filone c ne traggono ispirazione fin all'esaurimento e l’esagerato sfruttamento di un’idea, inizialmente buona, determina la crisi. A esempio di questo, potrei portare l’interminabile serie di film di ambiente romano.
Non ho una cattiva opinione dei film che ho interpretato, sebbene l’unico perfetto sotto tutti i punti di vista, tanto per la scelta dei personaggi che per la regìa di Blasetti, che per il soggetto, sia stato l’episodio "Il Pupo” dal film 'Tempi nostri"; episodio preciso pur essendo realizzato soltanto in poche centinaia di metri di pellicola.
Mi considero abilmente sfruttato dai registi, ma in modo parziale. Affibbiatami per la prima volta la parte del "tontolone simpatico”, non si pensa minimamente che questo non è il solo lato di attore che posseggo. Infatti ritengo di essere all’altezza di interpretare un ruolo diverso. Il torto di un ruolo fisso è uno degli errori fondamentali della cinematografia italiana; vediamo, infatti, che tutti gli attori italiani vengono sfruttati sotto un solo aspetto e scartati quando la loro personalità fisica non è più all’altezza del ruolo consueto, e scartati senza tener conto di loro altre possibilità.
Sono uno dei pochi attori di teatro che fa del cinema, o meglio dire uno dei pochi attori di cinema che fa del teatro. E’ d’altra parte opinione diffusa che un buon attore di teatro sia pessimo nel cinema. Ecco perchè si è attinto dalla strada. e perchè a molti attori di teatro, ottimi attori, non viene neppure offerta l’opportunità di interpretare dei film.
Se a volte, per ottimi registi, prendere attori dalla strada è stata una prova felice e perfetta, come per esempio in "Due soldi di speranza" di Castellani, per altri, nel momento in cui scegliere attori non professionisti era una moda, l’esperienza si è dimostrata assolutamente negativa. Ma i produttori appoggiavano questo nuovo uso per delle ragioni non molto nobili, quali il risparmio (infatti il neo-attore percepisce paghe basse), e la convinzione che i veri attori di teatro non fossero all’altezza dei "personaggi della strada”. Altro errore. Posso dire difatti di aver avuto il primo successo in un ruolo tra i più semplici.
Una produzione non deve essere intellettualistica, a mio modesto parere. Il cinema deve essere uno svago e nello stesso tempo deve porre dei problemi. Perfino un film comico può assolvere questa funzione: si pensi ai film di Charlot. Cayatte invece non fa film divertenti, ma dà sempre un insegnamento e costruisce il suo spettacolo così bene che dà la possibilità di essere gustato e di trame una morale, anche a spettatori di diversi livelli culturali. Un film fatto bene insegna qualcosa senza farlo pesare, per questo dal canto mio abolirei senza remissione le "comicacce” e le tragedie d’appendice. E’ un errore del produttore che, seguendo il proprio gusto, crede d’incontrare il favore del pubblico.
Un attore spesso è costretto ad assumere nei film ruoli che non lo soddisfano, ma questo non è imputabile alla sua volontà. Non è per venalità: è che l’attore, in particolar modo l’attore italiano, non ha molte possibilità di scelta e rifiutare dei film mediocri significherebbe in breve tempo smettere di lavorare. Per lo più si cerca tra le varie proposte di accettare la migliore, anche se la migliore altro non è che un cattivo film. Per gli attori in America le cose vanno in modo molto differente: essi, infatti, essendo scritturati per vari anni dalla Casa di produzione, vengono da questa impegnati nel modo migliore, allo scopo di rifarsi del lancio pubblicitario e del costo della prestazione. E poiché il miglior modo per usare un attore è quello di usarlo in film a cui è adatto e in ruoli differenti, ma che egli sia in grado di interpretare, gli vengono offerte tutte le possibilità di esplicare le proprie capacità artistiche. Abbiamo, infatti, visto noti attori drammatici esibirsi in film musicali e comici.
In Italia questa possibilità non esiste, e perciò credo che continuerò a fare l’autista di tassì. Ci sono in Italia grandi Case produttrici cinematografiche che si preoccupano solo del lato commerciale e che non potranno mai fare film artistici. Qualche anno fa il nostro cinema ha avuto effettivamente momenti meravigliosi, che ci hanno dato fama anche all’estero; ma ormai il successo non si ripete in quanto per un fattore molto mediterraneo e molto umano, ci si è adagiati sulle posizioni conquistate. Se io fossi produttore, attingerei a fatti e personaggi della vita di ogni giorno e alla letteratura che nessuno ha mai preso seriamente in considerazione.
Dopo la guerra ci furono film nuovi con una nuova formula: "Roma città aperta”, "Sciuscià”, ”La terra trema”, ecc. Si doveva seguire in questo stile, in questo clima di realismo poetico. Solo di recente ho visto "Marty” prodotto da un indipendente e mi pare che in esso siano stati egregiamente impiegati tutti quei fattori che determinarono il successo dei nostri film nell’immediato dopoguerra. Un americano ha saputo fare propria un’esperienza italiana. La situazione attuale è talmente confusa, che non c’è da stupirsi che non si riesca ad esprimere nulla. In fondo il cinema è un’arte; e come la pittura e la scultura e la poesia è oggi allo studio di tentativo, di ricerca.
Purtroppo il problema è vastissimo, ed è molto difficile combattere l’incapacità di risolvere una crisi che ha investito tutti.
Mi auguro soltanto che le persone che, come me, sono consce di commettere degli errori, possano riuscire sotto lo incitamento di una continua autocritica, ad arrivare un giorno a non commetterne più.
Marcello Mastrojanni, «Tempo», 1956
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Marcello Mastrojanni, «Tempo», 1956 |