Maggio Domenico (Mimì)
Detto Mimì (Napoli, 2 febbraio 1879 – Roma, 6 giugno 1943), è stato un attore e cantante italiano.
Biografia
Debutta all'età di 20 anni, al teatro Rossini [da verificare]. Artista passionale, ricco di fascino e di buone qualità canore, è stato l'interprete preferito dei più importanti autori e dei migliori impresari del Caffè-Concerto d'inizio '900.
Dopo alcune esibizioni al Teatro Rossini, la sua attività lavorativa diventa più intensa, e di conseguenza anche la sua fama. Nel 1910 fa parte del trio Maggio-Coruzzolo-Ciamarella e nel 1916 mette su una Formazione, dove tra l'altro, milita un giovanissimo Totò. Intanto si sposa con Antonietta Gravante, (Napoli, 1880 - Roma, 11 ottobre 1940) una cabarettista di successo, proveniente da una ricca famiglia.
La stampa dell'epoca
«Cafè-Chantant», 1900
«Cafè-Chantant», 1901
«Cafè-Chantant», 1905
«Cafè-Chantant», 1908
La mia penna è rude; essa non conosce le finezze dei grande maestri del genere per potere sfumare la gentile figura di questo artista n a ss io naie. Quindi, non auto-biografia, m a un pìccolo rilievo di ricordi lontani quando il Varietà non ancora erasi inquinato con le tante volgarità.
Conobbi Mimì molti anni or sono al Rossini di Napoli in duetto con Elisa Catania due ingenue ed immacolate figure di artiste, due fanciulli spensierati che fanatizzavano semplicemente e nulla più. E ricordo Mimì il bel fanciullo dagli occhioni neri e languidi accompagnato dai suoi genitori che non a torto vivevano per lui. Napoli, adorava questo fanciullo dalla voce metallica e questo buon pubblico di allora, lo copriva di fiori e con frenesia gli batteva le mani.... Tanti anni sono passati.... Quale metamorfosi è avvenuta nel gusto del pubblico! Mimì é rimasto sempre il forte e passionale cantante napoletano, ma.... non era quello il posto che gli spettava.... Ben più in alto egli doveva giungere!
Artisti come Maggio.... se ne cantano pochissimi.... Napoletano nell'animo, adora Napoli e la sua famiglia. Ed a questa Napoli, egli si attaccò come l'ostrica al palo, staccandosene rarissime volle.
Ahi! Come questo bel cielo c’inebbria e ci snerva!
Se invece avesse imposta la sua arte vera e squisita con più audacia, a quest’ora, addizionerebbe tanti pacchetti da cento in più! La esagerata modestia, uccide perché: la vita è una folla che si accalca, si sospinge come una marea fluttuante.... o solo colui che a colpi di gomito saprà farsi innanzi, sorriderà la fortuna!
Mimì, fu esageratamente modesto come tanti artisti di quell'epoca. Ricordo che eravamo al Politeama alla villa del Popolo alla Marina. Io, Maria Borsa, Linda Saffo e tanti altri che non ricordo, compreso il caro Maggio giovanottino. Il proprietario era un brav'uomo certo: Angolo Mazzola che aveva una sola velleità : quella di fare il guappo portando sempre il cappello a sghembo ma in verità, incapace di fare male ad una mosca. Guadagnava quattrini a palate e come poteva essere diverso con quei nomi! Linda Saffo che se fosse vissuta in questa epoca ci sarebbero voluti molti biglietti da cento serali!... E Maria Borsa?...
Colosso della Canzone! ebbene, questi valori non arrivarono a guadagnare quindici lire per sera! In quell'epoca, primo di dare la qualifica di stella ad una artista, ce ne voleva!
E rammento le sere allegre passate in quel popolare Teatro il quale è sparito da un pezzo, quasi.... per non assistere alte vergogne moderne!
Ce ne facevamo risate, anzi racconterò un episodio di allora abbastanza comico tra i tanti che ne succedevano. L'impresario: Angelo Mazzola, come accennai più innanzi, era perseguitato dalla mania guappesca e.... tutte le sere, arrivando al teatro, assumendo un aria grave, si toglieva dalla cintura una enorme rivoltella di calibro 12 e la depositava presso il bigliettinaio che era un certo don Ferdinando, un nitido vecchietto ossessionato dai numeri del lotto. Una sera, alcuni giovanotti un pò avvinazzati, vennero a diverbio con Don Angelo Mazzola e gli rivolsero parole un pò irriverenti, ma don Angelo che ci teneva a non fare una brutta figura, rispose: Aspettate nu mumento e corse inviperito verso il botteghino dei biglietti gridando: Don Ferdinà : dateme o nummero dudece.... (alludendo al calibro della sua rivoltella che aveva depositata).
Ma il povero vecchietto, pigliato alla sprovvista e credendo si trattasse del numero di un palco rispose : L’ho fittato. Ma don Angelo inferocito soggiunse: Chi v'ha dato 'o permesso e v'affitta o numero 12 ? E.... don Ferdinando, cadendo da le nuvole, rimbeccò. Scusatemi caro Don Angelo i palchi li tengo per fittarli è venuto un signore mi ha chiesto il dodici ed io gliel'ho dato. E qui il terribile impresario con una esclamazione napoletana gridò: qua parche e.... parche, io voglio o rivordo pe sparà a chilli carugnune! Chiarì il curioso equivoco una matta risata. Di quella sera la tempesta finì in un bicchier d'acqua.
E ritornando al protagonista del mio articoletto, che oggi è quasi trentenne. Egli adora la sua moglie Antonietta e vive per i suoi innocenti figliuoli. Il suo cuore è rimasto fanciullo mentre la sua arte conserva freschezza ed originalità! Linda Saffo è morta quasi d’inedia all'ospedale di Torino!... Maria Borsa si ritirò dalla scena per una grave sciagura familiare. E quanti altri artisti sono morti o si ritirarono dal palcoscenico.... Vada ai primi, il mio mesto ricordo.... ai secondi il mio saluto affettuoso.
Il tempo passa rapidamente e certi ricordi non si cancellano.... Perchè sanno di grande nostalgia!...
Adolfo Narciso, «Cafè-Chantant», 1912
Il Cav. Mimì Maggio
Ogni tanto si vedono in giro le vecchie maschere della commedia: ma sono cosi mutate che il pubblico, il quale deve oltre tutto apprezzarle nelle ricostruzioni ideali, non può riconoscerle. Da una generazione all’altra quelle maschere gli si sono evolute sotto gli occhi cambiando costumi, seppure restando fedeli agli usi, e non lo divertono più.
D’altra pane, le maschere sospettano appena di trascinare un’eredità tanto curiosa c ricercata. Ancora vive non pensano nemmeno di essere oggetto di studio, che persone d’ingegno, cioè, vorrebbero ricostruire quel segreto così naturale per loro nelle accademie e nei teatri di Stato. Se lo sapessero, forse, sarebbero felici di farsi sezionare, seppure il loro gesto sarebbe compreso.
Incontrarle non è facile: di quelle che si proclamano «maschere» da loro stesse c’è, a ragione, da diffidare. Le vere, spesso, formano una sola famiglia; e quando, per un comprensibile pudore, non sfuggono le grandi città, si accontentano di riempire gli spettacoli nei cinema popolari. Ma è la loro invincibile razza che le scopre.
Per qualche sera, ad esempio, la compagnia del cav. Mimì Maggio ha recitato al Cinema Centrale. Nella recita d’addio, il cavaliere in persona è avanzato sul boccascena, a ringraziare, dicendo che «imprescindibili impegni» lo chiamavano altrove, ma ch’egli avrebbe portato con sé il ricordo di un pubblico che l’aveva onorato con la sua cara accoglienza. Mentre il vecchio attore, insolitamente impacciato, parlava, il pubblico di quel cinema, che è imo dei più generosi ed entusiasti della città, rimase attento e commosso (anche il ragazzo delle gazose, che fino allora aveva camminato sulle nostre scarpe, mostrò col suo contegno un'anima suscettibile di perfezione). Quanto a noi, oltre tutto, pensando, per contrasto al preoccupato pubblico dei teatri normali che passa i terz'atti col pastrano sulle ginocchia, pronto a fuggire alle penultime battute, per un attimo ci affacciammo il dubbio che nella crisi del teatro debba entrarci la maleducazione, che è una forma sgradevole d’indifferenza.
Ma, a parte ciò, il cav. Maggio, col suo discorsetto, non stava riportando lo spettacolo ai termini d’un tempo, a uno scambio di simpatie e di responsabilità tra platea e palcoscenico? Quando, tra gli applausi, sparì definitivamente nelle pieghe del sipario, il suo corpo legnoso era appunto quello di un propiziatorio imbonitore.
***
Della compagnia Maggio, attratti per puro caso dalla singolarità del programma che annunziava commedie «tratte da canzoni», abbiamo seguito le recite fedelmente. Per dei curiosi ricercatori delle fonti metafisiche del melodramma, come siamo, l’occasione non avrebbe potuto essere migliore, e oltre a confortarci nell’idea che le vecchie maschere girano ancora ci è servita per conoscere nuovi procedimenti drammatici, davvero curiosi.
Nel costruire le sue commedie l’arzillo cavaliere non manca di idee e di fantasia. Una buona commedia, secondo Molière, dovrebbe descrivere caratteri e costumi, contenere comicità e sorprese, definire una morale: ebbene, a tutto ciò il cav. Maggio aggiunge di suo il «sentimento». Perché i suoi attori sanno recitare e cantare (recitare con la naturale grazia dei napoletani e cantare con la loro appassionata convinzione) egli non fa che imbastire un canovaccio entro il quale gli attori possono esaurire le loro attitudini comiche e al momento opportuno, se la scena lo richiede (e la scena lo richiede spesso), incastrare canzoni che si adattino. Di regola la canzone che dà il titolo alla commedia è quella che viene spiegata con l’azione: è un risalire alla sorgente, un riprodurre l'ispirazione del compositore che non manca di logica. E del resto, queste manipolazioni melodrammatiche, se aggiungono la generosa retorica delle stampe popolari all’azione, non tolgono agli attori una radicata scioltezza di osservazioni. In Non ti scordar di me, per esempio, ad un vecchio malaticcio che la padrona di casa vorrebbe mandare all’ospedale la moglie impone con sottigliezza chamfortiana di star tranquillo, di non ascoltare intimidazioni, di morire pure tranquillamente.
E soltanto una maestria ereditata potrebbe permettere a questi attori di troncare, come fanno, le scene patetiche, quando seguitarle sarebbe intollerabile, con improvvise buffonerie che smontano gli effetti precedenti: né il gusto dei « ritorni », quel modo di battere a intervalli periodici su un punto efficace, potrebbero averlo appreso dagli esempi del teatro d'oggi. Guardate come tutti tormentano il povero vecchio colpevole di aver « le orecchie piccole » (il che vorrebbe dire, ci viene spiegato, morte prematura) col rimproverargli di «non rispettare i proverbi». Pian piano la battuta dà il ritmo alla scena, colma le pause, ottiene l’ilarità per forza meccanica.
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Pur se cambiate dal gusto del tempo, se passate attraverso il teatro borghese e veristico, queste maschere fanno capire di aver recitato « sempre », di avere addirittura trovato il loro ruolo sul cuscino. Usufruendo di un'esperienza segreta, riescono a dire cose gradevoli né più né meno come due o tre secoli fa. E per questo, forse, soltanto il pubblico popolare, che non ha perso la memoria, è in grado di apprezzarle pienamente.
Riconoscere Pulcinella nel giovane sfrontato dagli occhiali di falsa tartaruga, Colombina nella languida aspirante al cinema, Florindo nell’operaio generoso e Pantalone in quello che «ha fatto la guerra ed è stato prigioniero» è arduo, d'accordo; ma convince chetali maschere sono entrate nella vita e ne portano un’eco vivace sulla scena. E proprio nel non farsi riconoscere a prima vista sta tutto il segreto della loro continuità.
Ennio Flaiano, «Oggi», 9 dicembre 1939
La coppia avrà 16 figli, di cui 7 seguiranno le orme paterne:
Icario Maggio
Rosalia Maggio
Pupella Maggio
Dante Maggio
Beniamino Maggio
Enzo Maggio
Margherita Maggio
Mimì Maggio, si spense a Roma, all'età di 64 anni.
Riferimenti e bibliografie:
- «Cafè-Chantant», 1910 - 1912
- Ennio Flaiano, «Oggi», 9 dicembre 1939