Totò, Peppino e i fuorilegge
Antonio
Inizio riprese: ottobre 1956, Stabilimenti INCIR - De Paolis, Roma
Autorizzazione censura e distribuzione: 18 dicembre 1956 - Incasso lire 452.518.000 - Spettatori 3.030.323
Titolo originale Totò, Peppino e i fuorilegge
Paese Italia - Anno 1956 - Durata 104 min - B/N - Audio sonoro - Genere Commedia - Regia Camillo Mastrocinque - Soggetto Vittorio Metz - Sceneggiatura Edoardo Anton, Mario Amendola, Ruggero Maccari - Fotografia Mario Albertelli - Montaggio Gisa Radicchi Levi - Musiche Alessandro Cicognini
Totò: Antonio - Peppino De Filippo: Peppino - Titina De Filippo: Teresa - Dorian Gray: Valeria - Franco Interlenghi: Alberto - Maria Pia Casilio: Rosina - Barbara Shelley: la baronessa (la Vampa) - Teddy Reno: sé stesso - Memmo Carotenuto: Ignazio detto "il Torchio" - Mario Castellani: il braccio destro del Torchio - Mario Meniconi: il Guercio - Mimmo Poli: il bandito-cuoco - Gino Scotti: il professore - Guido Martufi: il giovane aiutante di Peppino

Soggetto
Provincia di Roma, primi anni del dopoguerra. Antonio, disoccupato di mezza età, ha sposato una donna ricca, Teresa, che lo tiranneggia: egli vive in campagna con la moglie e con la seriosa figlia Valeria ed è sempre senza un soldo in tasca. Valeria fa la conoscenza di Alberto, giovane giornalista, venuto in paese col proposito di avvicinare e intervistare il bandito Ignazio detto "Il Torchio", temuto in tutta la regione per le sue audaci imprese. Con la complicità di Peppino, il barbiere del paese, Totò fa credere alla moglie di esser stato sequestrato da Ignazio e induce così l'avara Teresa a versare cinque milioni per il suo riscatto. Il denaro viene sperperato in bagordi da Totò e Peppino, recatisi a Roma, dove vengono raggiunti da Valeria e Alberto, che hanno scoperto l'inganno; anche Teresa scopre lo stratagemma del marito, quando dalla televisione viene trasmessa una ripresa in un locale notturno, dove i due compari si danno alla pazza gioia.
Finiti i denari, Totò ritorna al paese e dice alla moglie di essere sfuggito ai banditi; Valeria non fa in tempo ad avvertirlo cosicché l'uomo viene smascherato. Il giorno dopo Totò viene veramente catturato dagli uomini di Ignazio, il quale, saputo anch'egli del finto rapimento compiuto a suo nome, esige per lui un forte riscatto; Teresa però pensa che si tratti di un altro falso rapimento e non vuol dare un soldo. Valeria e Alberto, ormai fidanzati, architettano un piano per salvare Totò; si recano da Ignazio nel suo covo e gli chiedono la libertà di Totò in cambio di un'intervista che renderà celebre il bandito: Ignazio accetta e Totò torna a casa. Dopo le nozze di Valeria e Alberto, Teresa caccia di casa il marito, intimandogli di non tornare finché non si sarà fatto una posizione. Totò, che non ha mai lavorato, si riduce a fare il "ragazzo" nella bottega di Peppino.
Critica e curiosità
🎭 Totò, Peppino e la… fotocopia dorata del successo precedente! 🎭
Ah, il cinema italiano degli anni Cinquanta! Quel magico laboratorio in cui si impastavano sketch da rivista, morali da catechismo per adulti svagati, e personaggi che parevano usciti da un sogno di Eduardo De Filippo… dopo un digestivo pesante. E in questa alchimia un po’ svogliata, un po’ geniale, nasce Totò, Peppino e i fuorilegge, ovvero: quando il deja-vu diventa strategia produttiva.
Titoli provvisori, titoli furbeschi
Il film avrebbe dovuto chiamarsi Totò a peso d’oro — un titolo che pare suggerire un film sulla svalutazione della lira o una saga di Paperon de’ Paperoni. E invece no: riferimento diretto allo sketch del rapimento architettato dal gaglioffo di turno, tale Ignazio il Torchio (interpretato dal sempre affidabile Memmo Carotenuto, marchio DOC del sottobosco romano del cinema comico).
Ma nel regno delle decisioni produttive “alla buona”, si fa un rapido sondaggio: quale titolo ha funzionato l’anno prima? Totò, Peppino e la malafemmina. Bene, si copia. Tanto Totò e Peppino ci sono, la femmina pure. Ed eccoci serviti con Totò, Peppino e i fuorilegge. Fuorilegge? Sì, ma anche fuori da qualsiasi legge della logica narrativa.
👓 Totò semiceco, ma lucidissimo nella farsa
Va detto: il nostro Principe della Risata gira questo film dopo un’operazione agli occhi che lo aveva reso quasi cieco. Eppure, il suo istinto comico non ci vedeva mai così bene. Cieco nel corpo, ma veggente dell’assurdo. Insieme a Peppino, il duo ripropone la sinfonia farsesca che aveva già fatto esplodere i botteghini l’anno prima: gag visive, giochi linguistici, ritmi da commedia dell’arte riveduti e corretti dal cinema.
E poi c’è lei: Titina De Filippo. Che torna dopo sedici anni dalla precedente interpretazione accanto a Totò (San Giovanni decollato). E che, pur con parsimonia di battute, sa brillare di quella comicità secca e quasi materna che solo lei sapeva incarnare.
Riflessi comici di successi passati
Il film è, per usare un termine scientifico, una fotocopia color seppia del precedente successo. Stessi ingredienti, stessi attori di contorno (Dorian Gray, Teddy Reno, Mario Castellani), stessa impalcatura narrativa: mariti bugiardi, mogli astute, equivoci a raffica e barzellette da osteria travestite da sceneggiatura.
Addirittura, come i Figli del deserto di Laurel & Hardy — da cui il film prende a prestito un intero pezzo di plot — anche qui le mogli scoprono la verità tramite una diretta TV. Che, nel 1956, era un po’ come essere spiati via webcam oggi. Altro che Grande Fratello!
🧠 Due film in uno: la satira di costume… e poi la baraonda
La struttura è bipartita, come un dolce mal riuscito: la prima metà è ben lievitata, con i suoi rimbrotti coniugali e i tic da teatro dialettale; la seconda affonda in uno sciroppo di nonsense: carte truccate, gag dell’infantilismo (Totò regredito a bimbo a forza di cucchiaiate), banditi intervistati come star del varietà. Se la prima parte è commedia, la seconda è una barzelletta messa in piedi da un autore in bolletta.
Diciamolo senza remore: Metz, lo sceneggiatore, ad un certo punto decide che la logica è superata. L’unico modo per apprezzare il film è… dimenticare che stai guardando un film.
🎭 Clownesca sinfonia a due voci: Totò e Peppino
Il cuore vero della pellicola sono loro: Totò e Peppino. Augusto e Bianco, nella loro eterna recita circense. Il primo istintivo, fisico, travolgente; il secondo rigido, elegante, goffamente dignitoso. Totò fa disastri: rompe pettini, rovescia catini, pesta mani, incendia fiammiferi, tira sedie. Peppino subisce con rassegnata aristocrazia.
E la scena del telefono, con i due che si parlano da soli attorcigliati nei fili, è uno di quei momenti in cui la farsa raggiunge il sublime: Beckett, se fosse passato per Napoli, l’avrebbe scritta con commozione.
🍽️ Il pranzo dei poveri cristi (e della comicità)
Una delle scene più irresistibili? Quella in cui Peppino, invitato a pranzo, è costretto a presentarsi con due chili di salsicce, mezzo chilo di patate e un fiasco di vino. Altro che ospitalità! È il pranzo del popolo, quello delle commedie di Scarpetta, della fame e del decoro, trasformato in opera buffa.
E proprio qui emergono le deformazioni linguistiche da antologia, ormai leggendarie:
- Caffè per Dante invece di coiffeur pour dames
- Rospi si scrive con due p
- Polacchia al posto di Polonia
- Anzio per ansia
- Hai agito con modi interurbani (e l’Accademia della Crusca si lancia dalla finestra)
Totò gioca con la lingua come un giocoliere con i piatti: qualcuno si rompe, ma il pubblico applaude sempre.
🏆 Peppino incoronato, Dorian doppiata
Peppino, finalmente, viene premiato: Nastro d’Argento nel 1957 come miglior attore non protagonista. Una soddisfazione tardiva ma sacrosanta.
Curiosa invece la storia di Dorian Gray (non il personaggio di Wilde, ma l’attrice): in alcune scene la sentiamo con la sua voce, in altre viene doppiata da Rosetta Calavetta. Un piccolo mistero di produzione, come le uova scomparse nel frigorifero.
🎬 Una corsa contro il tempo (e contro il teatro)
Girato in tempi rapidissimi per non interferire con gli impegni teatrali di Totò, impegnato nella sua ultima rivista A prescindere, il film sembra davvero una filastrocca cinematografica tra un atto e l’altro di una tournée. E si sente: ritmo sincopato, inserti comici che sembrano sketch riciclati (lo sono), e una struttura narrativa a colpi di trovata.
🧠 Conclusione filosofico-gastronomica
Totò, Peppino e i fuorilegge è un film da gustare con lo spirito di chi si siede a una tavola improvvisata con gli amici: si sa che si mangerà male, ma si riderà tanto. È una pastasciutta scotta condita col genio, un bicchiere di vino annacquato che sa di teatro, di palcoscenico polveroso e di risate dietro le quinte.
È Totò che inciampa su Peppino. È Peppino che storce il naso ma ride. È il pubblico che, pur sapendo già tutto, ride di nuovo. E ride ancora. A prescindere.
Le scene più famose e memorabili del film Totò, Peppino e i fuorilegge
🎭 La telefonata grottesca tra fili e deliri
Una delle vette più esilaranti della clownerie verbale e gestuale di Totò e Peppino. I due si trovano a dover improvvisare una telefonata, ma nel tentativo di usare il telefono – oggetto ancora esotico per molti italiani degli anni Cinquanta – si attorcigliano nei fili come due calamari in amore. Il risultato è un balletto surreale, una coreografia da slapstick in cui ognuno risponde a se stesso e l’altro finge di ascoltare, il tutto condito da frasi sconnesse e sguardi strabici. È il caos comico elevato ad arte. Beckett, se avesse scritto per il Bagaglino, sarebbe stato fiero.
🍽️ Il pranzo trappola: portatevi da mangiare!
Una delle scene più memorabili e velenosamente ironiche è quella in cui Peppino, invitato a pranzo da due “amici”, viene informato con serenità che dovrà portare tutto lui: due chili di salsicce, mezzo chilo di patate e un fiasco di vino. La scena è un microcosmo perfetto della miseria travestita da ospitalità, della furbizia popolare che scrocca con eleganza. Il pathos tragicomico di Peppino che sborsa i soldi mentre i padroni di casa lo accolgono con sorrisi ipocriti è da antologia del cinema comico italiano.
🧒 Totò bambino: pappa, capricci e carte truccate
In un’escalation di demenzialità da manuale, Totò – per eludere la moglie e godersi una vacanza da scapolo – inscena un finto rapimento e poi, paradossalmente, viene trattato come un bambino. In una scena assurda e irresistibile, viene imboccato con cucchiaiate di pappa, costretto a farsi lavare e vestire come un pupo. Una gag che porta alle estreme conseguenze l’infantilizzazione del maschio italiano, e che trasforma il principe della risata in una caricatura felliniana prima del tempo. Grottesco? Sì. Comico? Assolutamente.
🔫 L’intervista al bandito: cronaca o varietà?
Altro momento surreale è quello dell’intervista a Ignazio il Torchio (Memmo Carotenuto), bandito da operetta con tic da cabaret. Siamo nella barzelletta sceneggiata: il bandito non fa paura, ma ride, gesticola, si vanta come un bambino che ha rotto un vetro. L’intervista – condotta come fosse un quiz televisivo – destruttura completamente il concetto di “cattivo”, rendendolo un elemento farsesco al pari degli altri. Una parodia anticipata dei talk show prima ancora che la TV italiana li inventasse.
📺 La diretta TV e il tradimento smascherato
Citazione colta e scopiazzatura dichiarata dai “Figli del deserto” di Laurel & Hardy: le mogli, credendo che i mariti siano in missione umanitaria, li scoprono in TV in tutt’altre faccende affaccendati. Una scena che incarna l’ossessione per la doppia vita coniugale, il maschio-bambino bugiardo e la vendetta domestica. L’irruzione della TV nel film è un tocco di modernità che serve però a far crollare le menzogne alla Totò, costruite su palafitte di chiacchiere.
🛏️ Il separé e la finta gelosia
Rievocata e rimaneggiata da "San Giovanni decollato", la gag del separé è puro teatro da camera: Totò lo usa per nascondersi, per spiare, per far finta di non vedere, in un carosello di doppi sensi, gesti esasperati e reazioni assurde. È la maschera che si nasconde dietro l’arredamento, come Pulcinella dietro il sipario. La comicità si annida nella geometria della scena, nella topografia dell’equivoco.
🗣️ Le perle linguistiche: Dante, i rospi e la Polacchìa
Un classico delle pellicole totiane: la deformazione comica del linguaggio. Alcuni esempi imperdibili:
- “Caffè per Dante” invece di “coiffeur pour dames”
- “Rospi si scrive con due P” – e Peppino: “Rospi è plurale!”
- “Hai agito con modi interurbani”
- “Polacchìa” per Polonia
- “Rocco e Rocco” per rock’n’roll
Totò è maestro nell’esplorare il confine tra ignoranza e invenzione poetica, facendo del fraintendimento una forma di arte surrealista.
🥇 Il duetto finale: clownerie a due voci
Non una singola scena, ma un motivo ricorrente: Totò e Peppino, come Augusto e Bianco, si rincorrono per tutto il film in una danza comica da circo. Pettini rotti, cilindri in faccia, fiammiferi accesi messi in mano, mani pestate con metodo, sedie ribaltate con accuratezza: ogni gesto è una nota in uno spartito di risate millimetricamente calcolate. Il film, seppur costruito con sketch riciclati e una logica da fiera di paese, trova il suo centro nella precisione comica di questa coppia eterna.
Così la stampa dell'epoca
L’accoglienza del film Totò, Peppino e i fuorilegge da parte della critica, del pubblico e della censura al momento della sua uscita nel 1956.
📰 La critica: tra amnesia selettiva e moderata clemenza
La critica cinematografica italiana, nel dicembre 1956, accolse Totò, Peppino e i fuorilegge con una sorridente diffidenza, come chi riconosce in un prodotto la maestria artigianale ma ne denuncia apertamente la natura ripetitiva e industriale. Molti recensori non si fecero illusioni: era chiaro che il film non ambiva all’arte, bensì all’incasso facile, sfruttando la scia del successo clamoroso di Totò, Peppino e la malafemmina (uscito appena sette mesi prima).
Il tono dominante delle recensioni oscillava tra:
- “Divertente, ma già visto”
- “Totò e Peppino irresistibili, ma la sceneggiatura è una scusa”
- “Un varietà in pellicola, ma il pubblico ride e questo basta”
La critica colta, in particolare, rimproverava a Giovannino Guareschi (ispiratore) e alla coppia Metz–Marchesi (sceneggiatori) di aver trasposto sullo schermo poco più che una sequenza di sketch scollegati, alcuni già ampiamente testati da Totò in teatro, con quel suo repertorio a prova di bomba: pettini rotti, mani pestate, telefoni attorcigliati, paradossi linguistici, e menzogne casalinghe in salsa napoletana.
L’aspetto più apprezzato rimaneva la verve degli interpreti, in particolare la chimica comica tra Totò e Peppino, ormai considerati dal pubblico e da alcuni critici una coppia inscindibile come Stanlio e Ollio, con in più il pepe dialettale e lo sfondo tricolore. Le lodi maggiori andarono tuttavia a Titina De Filippo, che molti ritennero l’unica vera attrice "seria" del cast, capace di bilanciare con compostezza la follia generale del film.
🎟️ Il pubblico: risate a volontà, e zero lamentele
Se la critica storceva il naso, il pubblico... scoppiava a ridere. Totò, Peppino e i fuorilegge fu un successo commerciale travolgente. Gli spettatori italiani del 1956, in gran parte appartenenti a una società ancora povera, rurale e affamata di evasione, trovarono nella comicità diretta e surreale del duo un perfetto antidoto alla quotidianità grigia del dopoguerra.
Alcune ragioni del successo:
- La familiarità dei personaggi, riproposti senza sorprese, ma con tutto il loro arsenale comico
- L’ambientazione familiare e domestica, che rifletteva vizi e virtù della famiglia italiana media
- La lingua deformata, che suscitava risate anche solo per il suono
- La fisicità slapstick, capace di intrattenere anche il pubblico meno colto o alfabetizzato
In provincia, soprattutto al Sud, si racconta che in alcune sale si fecero proiezioni ininterrotte per mesi, e che gli spettatori tornavano a rivedere il film solo per ridere di nuovo della scena del telefono o della gag delle “modi interurbani”.
Un elemento importante fu anche la popolarità delle riviste teatrali che Totò stava portando in scena in quegli stessi mesi (l’ultima, A prescindere), il che creava una sorta di osmosi tra teatro e cinema: gli italiani che non potevano permettersi lo spettacolo dal vivo andavano al cinema a godersi le stesse battute, le stesse dinamiche, in formato pellicola.
✂️ La censura: pochi tagli e molti sospiri
A differenza di altri film di Totò, che avevano attirato l’attenzione dei censori per satira sociale (Siamo uomini o caporali?) o temi considerati “scabrosi” (Totò e Carolina), Totò, Peppino e i fuorilegge passò praticamente indenne dai ferri del moralismo democristiano.
Il film, pur essendo ammiccante e doppiamente allusivo in molti dialoghi, era considerato nel complesso “innocuo”, un puro meccanismo comico che non lanciava messaggi pericolosi, non criticava apertamente l'autorità e non sfidava la morale cattolica.
Nei documenti d’epoca della Commissione di Revisione Cinematografica, emergono solo lievi preoccupazioni:
- L’uso del termine “malafemmina”, già sdoganato
- Alcune battute considerate “poco pedagogiche” in riferimento alla famiglia
- Il rischio che la figura del “marito bugiardo” venisse interpretata dai giovani con leggerezza
Ma alla fine, nessun taglio significativo fu imposto. Il film uscì con il nulla osta per tutti e non fu soggetto a proteste né da parte della stampa cattolica né da organizzazioni per la tutela della moralità pubblica.
🏆 Premi e riconoscimenti: un Nastro per Peppino
L’unico vero riconoscimento istituzionale arrivò dall’ambiente cinematografico stesso, con l’assegnazione a Peppino De Filippo del Nastro d’Argento 1957 come miglior attore non protagonista. Un premio inatteso, dato che raramente il cinema comico veniva premiato in quegli anni (il dramma e il neorealismo dominavano ancora la scena).
Il premio fu accolto con entusiasmo dal pubblico e con una certa sorpresa dalla critica, che cominciò a rivalutare Peppino come attore a tutto tondo, capace di far ridere senza mai essere ridicolo, e di creare con Totò una tensione comica tra ordine e caos, tra raziocinio e delirio.
📣 Conclusione: ignorato dai critici, amato dagli italiani
Totò, Peppino e i fuorilegge fu, al pari di altri film del duo, una creatura ibrida: disprezzata dalle élite culturali ma amata dalle folle, realizzata con budget contenuti ma incassi stellari, strutturata su sceneggiature zoppicanti ma salvata dall’infallibile macchina attoriale dei due protagonisti.
In retrospettiva, la pellicola rappresenta uno di quei rari casi in cui la comicità popolare resiste all’usura del tempo, proprio perché non ha mai finto di essere altro da sé. Un film che non voleva insegnare nulla, ma ci ha lasciato in eredità una lezione preziosa: si può ridere in modo intelligente anche di cose apparentemente stupide. Basta saperle fare. E Totò lo sapeva fare. A prescindere.
Totò, Peppino e la... malafemmina colleziona quattro milioni e mezzo di spettatori, uno in più rispetto al film con Mike Bongiorno. E questo dimostra almeno due cose: che la forza della televisione nei confronti di Totò non era poi così devastante, e che la presenza di Mike non era l'attrattiva principale di Totò lascia o raddoppia?. Così, poche settimane dopo l'uscita, Broggi e Libassi mettono precipitosamente in lavorazione un numero due, Totò, Peppino e i fuorilegge. Si gira intorno alla metà di ottobre, con qualche esterno nei dintorni di Roma. [...]
Alberto Anile
A pensarci è una malinconia. Totò è il più estroso comico del nostro tempo, Peppino porta ogni anno sui palcoscenici della penisola la strepitosa allegria dei nostri comici dell'Arte, Titina è, quando il copione l'aiuta, un'attrice che tiene testa a chiunque nella commedia dialettale. Che cosa potrebbero fare insieme se un produttore intelligente spendesse qualche milione in più per la stesura di una sceneggiatura scritta col cervello invece che con i piedi? Comunque, un duetto tra Totò e Peppino vale sempre la spesa del biglietto [...]
Morando Morandini, 1956
Nella serie di Totò. Peppino e qualcos'altro si inserisce, con un tantino di qualità narrative e di trovate, quest’ultimo film in cui si narra di un marito soffocato dalla avarizia della moglie alla quale fa credere di essere stato preso in ostaggio dai banditi. [...] Trovate e soluzioni sono spesso di cattiva lega, tuttavia la comicità immediata di Totò e Peppino De Filippo, il personaggio della avara, abilmente disegnato da Titina, ed alcune caratterizzazioni assicurano al film un certo consenso. E' con questo tipo di produzione che si chiude il 1956. Crisi e film di Totò da una parte, dall’altra. cioè dal fronte degli esercenti, si continua a combattere con successo. E’ di ieri la notizia dell’apertura di un nuovo cinema: il Mignon.
Vice, «Il Popolo», 21 dicembre 1956
Il tandem Totò - Peppino De Filippo conduce una nuova impresa farsesca e questa volta nel campo della malavita. Come si trovino quei due sprovveduti compari alle prese con una banda organizzata di spietati fuorilegge ce lo racconta il regista Camillo Mastrocinque con doviziosa parità di trovate e matte risate che si rincorrono per tutto il film in un vertiginoso carosello di situazioni incalzanti, di trovate paradossali, di allegre battute. Data la materia si è puntato soprattutto sul lato comico senza indulgere a quelle sfumature patetiche o ricche di umanità che sono la prerogativa dei genere comico proprio, in altre occasioni precedenti, della coppia Totò - Peppino De Filippo. [...] Il complesso degli interpreti che circondano i due protagonisti è imponente e tutti si prodigano per far dal loro meglio. Ha diretto secondo i soliti schemi, Camillo Mastrocinque.
Vice, «Il Tempo», 31 dicembre 1956
[...] Tutto ciò si svolge a un ritmo che forse vorrebbe ricordare quede delle vecchie farse mute ma che, tranne in qualche punto genera confusione in luogo di divertimento. La recitazione di Totò, Titina e Peppino De Filippo, cui si aggiungono Donan Gray, Franco Interlenghi, Maria Pia Caslio, Memmo Carotenuto e, in una canzone, Teddy Reno, non si può dire abbondi nè di garbò nè di gaia leggerezza
Vice, «Il Messaggero», 31 dicembre 1956
Un provincialotto che vorrebbe godersi la vita a Roma ma ne è impedito dalla moglie brutta ed avara la costringe a sborsare cinque milioni tingendosi rapito da un brigante che infesta le campagne intorno [...] Il provincialotto è Totò, la moglie Titina De Filippo, e il barbiere Peppino De Filippo. Se la cavano tutti o tre da bravi mestieranti, strappando quelle risate di cui poi, subito. ci si pente. Il giornalista è Franco Interlenghi, che da alcuni anni è uno del nostri migliori attori cinematografici senza aver Imparato ancora a recitare, e dimenticavo di dire che c’è anche Dorian Gray, i cui meriti son tutti nella scollatura.
Regia alla buona, fotografia alla buona, sceneggiatura idem ma per un pubblico che si contenta di tanto poco, tutto va bene.
Mosca, «Corriere dell'Informazione», 1 gennaio 1957
Non si può dire che i film italiani abbiano abbondato, sui nostri schermi, in questo periodo di festività: la crisi, purtroppo, non la risolve Papà Natale e quando i film "da festa" non ci sono non si può pretendere che gli esercenti rifiutino i «colossi» stranieri per fai posto agli «scartini» nostrani. Tuttavia, non faremo Capodanno senza Totò e speriamo che questo segno di buonumore sia propizio per il nuovo anno cinematografico. Non staremo, naturalmente, a discettare su di un film come questo che discettazioni davvero non chiede. Si ride e tanto basta. Si potrebbe ridere di più e meglio, è vero: beh, sarà per un'altra volta! Ai punto in cui siamo, contano anche le « presenze »: e il nostro grande comico non è venuto meno alla tradizione, che lo vuole ogni anno ad augurarci nelle sale cinematografiche il tradizionale «buona fine e buon principio». [...] Diretto con svelta pulizia da Camillo Mastrocinque, il film si avvale, oltre che della decisiva presenza del due protagonisti, degli apporti di Titina De Filippo, di una cinematograficamente più matura Dorian Gray, di Franco Interlenghi, Memmo Carotenuto, Teddy Reno e Maria Pia Casiiio.
Vice, «Momento Sera», 1 gennaio 1957
[...] Non è tutta materia divertente e meno ancora inedita, sono tipi e situazioni che ci accompagnano fedelmente da molti anni; ma se si collocano nel quadro del teatrino minore, dialettale, dal quale sono assorbiti. non c’é ragione di considerarli con severità e corruccio. Si tratta di una burla che Totò, assoggettato ad una micragnosa consorte, Tltina De Filippo, decide di giocarle, con la complicità del barbiere Peppino De Filippo, per estorcerle alcuni milioni. [...] Ma la farsetta, recitata con spontaneità e immediatezza dai due De Filippo, da Totò e dagli altri, e priva delle grossolanità licenziose che spesso volgarizzano questo genere di film, scorre senza cigolii sino alla fine. Il musetto di Dorian Gray, la fidanzatina del giornalista, é graziosa e gli occhiali non gli tolgono nulla, la miopia si addice alle stelline.
Arturo Lanocita, «Corriere della Sera», 6 gennaio 1957
Totò, Peppino e i fuorilegge
Dopo la serie dei Pane e amore e dei Don Camillo, abbiamo ora dunque quella dei Totò e Peppino. C’era da aspettarselo, visto che Totò Peppino e la... malafemmina è il film italiano che ha totalizzato gli incassi più alti dell'attuale stagione cinematografica: cosa questa che tanto più colpisce in quanto si tratta di un modesto filmetto in bianco e nero, realizzato senza pretese e privo di particolari attrattive d’ordine spettacolare. L'accoppiamento di Totò con Peppino De Filippo rappresenta evidentemente una buona trovata, capace di fare larga presa sul pubblico; in effetti l’incontro e il contrasto fra la maschera comica dell'uno, cosi mossa, pronta al lazzo e alla buffoneria, con quella dell’altro, fissa su un modulo di serietà grave e un po’ atona, come di chi prende tutto sul serio e capisce sempre a metà; questo incontro riesce realmente ricco di effetti e sa far sorridere lo spettatore nonostante la incredibile banalità del soggetto.
E’ abbastanza interessante rilevare come al progressivo esaurirsi del filone idillico-umoristico dei Comencini e dei Castellani faccia riscontro l’affermarsi di queste pellicole — che si riallaccia, anzi è l'ultima versione, del filone dei film con Totò, uno dei più costanti e redditizi del dopoguerra — nelle quali tutto si basa sulla personale comunicativa dell attore, cosi da rendere completamente insignificante l’apporto del regista, del soggettista o dello sceneggiatore; mentre, al tempo stesso, il film comico americano sembra puntare sulla commedia di costume (in cui soggetto, dialogo e sceneggiatura sono elementi essenziali) e sull’affinamento degli elementi coreografici e musicali. Anche per questo aspetto, dunque. l’Italia ritorna al rango di provincia cinematografica, di "zona depressa”, in cui sì vive di riflesso e a rimorchio di quanto accade in altri Paesi.
Personaggi come quelli incarnati da Totò e De Filippo in questi film di Mastrocinque esprimono a perfezione una situazione di tal genere; poveri diavoli, a metà fatti di grossolana astuzia e a metà di ingenua balordaggine, aspiranti alla bella vita e condannati a tirare a campare, tiranneggiati dai parenti o dagli amici e smaniosi di imporre le proprie trovate balzane; siamo sul terreno della farsa di paese, che si manifesta ormai, con le sue ricchissime tradizioni, l'unica àncora di salvezza cui il nostro cinema sia capace di aggrapparsi.
Ai due protagonisti fanno corona Titina De Filippo con le sue consuete qualità di attrice, Dorian Gray con le sue interessanti scollature, Memmo Carotenuto e Franco Interlenghi, la cui recitazione sarebbe stata trovata seriamente manchevole in qualsiasi filodrammatica di dilettanti.
«Cinema Nuovo», anno VI, n.99, 1 febbraio 1957
Consegnati i "Nastri d'Argento" per l'anno 1957
La giuria dei «Nastri d'argento» 1957, dopo aver considerato, a norma di regolamento, i risultati del referendum effettuato tra i 'soci del Sindacato giornalisti cinematografici relativo ai film programmati in Italia dal 1° gennaio al 31 dicembre 1956. ha assegnato i seguenti premi:
Al produttore del miglior film: Enic-Ponti-De Laurentiis per Il ferroviere;
Alla migliore regia: Pietro Germi per Il ferroviere;
Al migliore scenario: Cesare Zavattini per Il tetto;
Alla migliore attrice protagonista: Anna Magnani per Suor Letizia;
Al miglior attore protagonista: non assegnato (all'unanimità) ;
Alla migliore attrice non protagonista: Marisa Merlini per Tempo di villeggiatura;
Al miglior attore non protagonista: Peppino De Filippo per Totò, Peppino e i fuorilegge (all'unanimità) ;
Alla migliore musica: Nino Rota per Guerra e pace;
Alla migliore fotografia: Mario Craveri per L'impero del sole;
Alla migliore scenografia: Mario Chiari per Guerra e pace;
Al miglior film straniero: Moby Dick di John Huston.
Al miglior cortometraggio: Parma città d’oro di Antonio Peducci, prodotto dall’Istituto Nazionale Luce.
La consegna dei simbolici nastri è avvenuta nel corso di una serata di gala svoltasi nei saloni del Grand Hotel alla presenza del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio on. Brusasca; dopo che il Presidente del Sindacato giornalisti cinematografici Domenico Meccoli ha auspicato una piena ripresa del nostro cinema. Vinicio Marinucci ha dato lettura del verbale redatto dalla giuria. Era presente al gran completo il mondo cinematografico italiano e numerosi rappresentanti di quello estero, nonché personalità della politica, della cultura e del giornalismo. I premiati (alcuni dei quali erano assenti per impegni di lavoro) sono stati cordialmente e lungamente applauditi.
«Il Messaggero», 10 febbraio 1957
In margine ai Nastri d'Argento
Come sempre accade, i "nastri d’argento" — assegnati l'altra sera a Roma con tutta la solennità che merita il massimo premio cinematografico italiano — hanno lasciato dietro di sè un’ombra leggera di malumore. I "nastri”, com’è noto, vengono assegnati dai critici italiani, mediante un referendum che porta una tema di nomi o di titoli alla scelta finale di una giuria di nove membri. Era una scelta pressoché obbligata, dato l’esiguo numero di buoni film in concorso. Tre spiccavano sugli altri; tutti e tre sullo stesso piapo di valore, ma purtroppo per motivi diversi. Di qui è nata quell’ombra di perplessità che dicevamo e che può essere dissipata.
I tre film maggiori erano, e lo si sapeva da sempre, "Il tetto”, ”Il ferroviere”, "Guerra e pace”; i tre premi maggiori erano destinati, per definizione del regolamento, al produttore del miglior film italiano dell’anno (1956), alla migliore regia, al migliore scenario (intendendosi il complesso del soggetto, della sceneggiatura e dei dialoghi). Si sa com’è andata; "Il ferroviere” si è preso i primi due "nastri”, ”Il tetto” ha ricevuto il terzo. E' stata commessa dunque una ingiustizia ai danni di "Guerra e pace”? No certamente, se si guarda la cosa dal punto di vista dei giudici tenuti a rispettare la lettera del regolamento, il quale parlava appunto di « miglior film italiano » esigendo evidentemente un giudizio d’ordine prevalentemente estetico. Sì, affermano coloro che volentieri avrebbero visto dare a Dino De Laurentiis un riconoscimento ufficiale dello sforzo produttivo, industriale, costituito appunto da "Guerra e pace". Ma è evidente che la dizione del regolamento avrebbe dovuto essere diversa (e personalmente ci auguriamo che sia modificata l’anno venturo), parlare cioè con chiarezza di produzione e di industria; e allora sarebbe stato possibile superare anche l'altro ostacolo che intanto si era posto dinanzi a "Guerra e pace": come è possibile, anche a voler mescolare l’estetica con lo spettacolo e l’industria, definire "migliore italiano" un film diretto e interpretato in grande prevalenza da stranieri?
Ristretta dunque la battaglia al terreno estetico, s’è visto De Sica sconfitto da Germi: con rilevante superiorità di voti, per la cronaca, nel caso del "miglior film"; con minore scarto nel caso della "migliore regia”. Nulla da obiettare, evidentemente: non soltanto la maggioranza dei giudici, ma anche quella dei critici partecipanti al referendum, era per Germi. De Sica poi s’è preso una piccola, Indiretta rivincita (il nastro al migliore scenario dato a Zavattini per "Il tetto"), e probabilmente anche un altro piccolo dispiacere (l’interprete del "Tetto”, Gabriella Pallota, è stata sconfitta da Anna Magnani nella competizione per il "nastro” alla migliore attrice).
Il "nastro” al miglior attore protagonista non è stato assegnato. Lo avrebbe ricevuto lo stesso Germi, a grandissima maggioranza, per la sua interpretazione di "Il ferroviere”; disgraziatamente Germi aveva ritenuto necessario farsi doppiare e il regolamento (forse da cambiare anche su questo punto) non lo consente. Per la stessa ragione è caduta la candidatura di Luisa Della Noce a quello che sarebbe stato il quarto "nastro” del "Ferroviere”: è accaduto così che la migliore attrice non protagonista sia stata giudicata, all’unanimità, Marisa Merlini per "Tempo di villeggiatura”. Ma qui davvero non può esservi alcuna recriminazione, giacché la Merlini è una brava, seria, onesta attrice professionista che da tanti anni va delineando caratteri minori con una precisione ed un gusto che meritavano il riconoscimento. Altrettanto unanime è stata la decisione di dare a Peppino De Filippo il "nastro” per l’attore non protagonista, per il film ”Totò, Peppino e i fuorilegge”.
Meritati e previsti gli altri "nastri": a Nino Rota per la musica di "Guerra e pace", a Mario Craveri per la fotografia di "Impero del sole”, a Mario Chiari per la scenografia di "Guerra e pace”. Assai più incerta la lotta per il miglior film straniero: ha prevalso per un solo voto "Moby Dick” di John Huston su "Riccardo III" di Laurence Olivier. Antonio Petrucci, con il suo "Parma città d’oro”, ha vinto abbastanza agevolmente il "nastro” destinato al miglior documentario.
Nel complesso, dunque, questi "nastri d’argento” sono venuti a suggellare senza brividi, senza sorprese, un'annata che è stata povera sì, forse la più povera del dopoguerra, ma che a guardarla così un po’ dall’alto, in distanza, rivela anche alcune cime alte e rassicuranti. La giuria non è stata minimamente insidiata da dissensi intestini, se l’è sbrigata in poche ore: è buono e cattivo segno al tempo stesso. Molto più dura sarà la battaglia dell’anno venturo — si sa già che concorreranno Fellini, Maselli, Antonioni, Castellani, Blasetti, Visconti, Lattuada, De Santis, forse ancora Germi, De Sica. — Dunque il cinema italiano dà segni di gagliarda ripresa.
Vittorio Bonicelli, «Tempo», 12 febbraio 1957
p[...] Per due terzi il filmetto si sostiene appena su qualche estro dei tre popolari attori comici; poi, con l'introduzione del bandito (Memmo Carotenuto), il copione, con qualche velleità satirica, prende anche un po’ di sapore. Ma il bilancio è piuttosto magro, dove fiorentissima è invece la bella Dorian Gray, nella parte della figlia miope, che con Franco Interlenghl e Maria Pia Casllio, ravviva, eccome, il contorno.
l.p. (Leo Pestelli), «La Nuova Stampa», 21 febbraio 1957
Totò, Peppino e i fuorilegge è il film di questa sera sulla Rete uno. Il sesto della serie dedicata al comico, lungometraggio non certo tra i migliori nella prolifica produzione di questo binomio, Totò e Peppino De Filippo appunto, che pure dette innumerevoli saggi di comicità (come ad esempio, il film della prossima settimana. Signori si nasce).
La storia di questa sera, firmata alla regia da Camillo Mastrocinque, è quella di un marito, angariato dalla moglie avara e tiranna, il quale, pur di spillare quattrini alla consorte, escogita un complicato piano di un finto rapimento. Suo complice è naturalmente Peppino, barbiere di professione, il quale dà una mano nella messa a punto del piano. I due faranno finta appunto, di essere stati sequestrati da un terribile bandito, costringendo in tal modo la donna a cacciare i soldi del riscatto. La moglie però, ad un certo punto scopre ogni cosa: ma questo sarebbe niente... Il guaio è che poco dopo Totò e Peppino vengono rapiti per davvero e la donna, naturalmente. non vuole più pagare. Così, i due suderanno le proverbiali sette camicie per tornare liberi. Si fa per dire. Con quella moglie...
«L'Unità», 23 novembre 1979
In Totò Peppino e i fuorilegge il comico interpreta la parte di un marito nullatenente che ha sposato una moglie tirchia ma così tirchia che quando invita il povero Peppino a pranzo gli fa fare la spesa gli lega le posate d'argento al tavolo con una catena Non solo, ma in una mirabile interpretazione Titina De Filippo si scandalizza perché Totò le fa cambiare una camicia ogni quindici giorni, se i commensali sono tre tre saranno le olive servite come aperitivo. A lui non resta che fingere un rapimento e intascare i soldi del riscatto per spenderli in un tabarin romano la notte di Capodanno. Ma la faccenda andrà male e lui si ritroverà garzone di bottega nel negozio da barbiere di Peppino. [...]
«L'Unità», 27 novembre 1993
I documenti
Edizioni home video di Totò, Peppino e i fuorilegge, dalla VHS al DVD, con informazioni su anni di uscita, edizioni e contenuti speciali:
📼 Edizioni VHS
Negli anni '80 e '90, Totò, Peppino e i fuorilegge è stato distribuito in formato VHS, spesso all'interno di collane dedicate al cinema italiano. Queste edizioni erano generalmente prive di contenuti extra e presentavano una qualità video standard per l'epoca.
💿 Edizioni DVD
🟢 Ripley's Home Video (2003)
Nel 2003, Ripley's Home Video ha pubblicato una versione DVD del film, offrendo agli appassionati una qualità video migliorata rispetto alle precedenti edizioni VHS. Questa edizione includeva alcuni contenuti speciali, come trailer originali e curiosità sul film.
🟢 Terminal Video Italia (2009)
Una successiva edizione è stata distribuita da Terminal Video Italia nel 2009. Questa versione presentava il film in formato 4:3 (1.33:1) e includeva audio in italiano Dolby Digital 1.0 e 5.1. Tuttavia, non sono stati segnalati contenuti extra significativi in questa edizione.
🟢 Ripley's Home Video (2016)
Nel 2016, Ripley's Home Video ha rilasciato una nuova edizione DVD del film, distribuita da Terminal Video. Questa versione includeva i seguenti contenuti speciali:(dvd-store.it)
- Trailer originale
- Curiosità sul film
- Filmografie degli attori principali
L'audio era disponibile in italiano Dolby Digital 1.0 e 5.1, con sottotitoli in italiano per non udenti. Il formato video era 1.33:1.
🌐 Disponibilità online
Attualmente (2025), Totò, Peppino e i fuorilegge è disponibile in streaming su alcune piattaforme online, offrendo una comoda alternativa per la visione del film.
Totò e Peppino si capivano al volo, battuta contro battuta, pause... Con Totò ho solo una scena, nella parte finale, quando ci fanno la fotografia con “il torchio”. Che era poi Memmo Carotenuto, un attore simpaticissimo e straordinario, come il fratello Mario, tutti attori che hanno avuto meno di quello che meritavano. Totò si trovava a suo agio, per lui il set era il palcoscenico perché faceva quello che gli pareva: nella scena in cui io intervistavo “il torchio”, quel “Pronto, pronto, chi parla?” è tutto inventato. Forse abbiamo provato una volta, e poi al momento di girare anche se avevamo provato in una certa maniera era possibile che lui cambiasse qualcosa e bisognava seguirlo. Ma non era difficile perché anch’io avevo già la mia esperienza, avevo 25-26 anni ma avevo già le spalle quadrate. Si capiva quando bisognava attaccare, Totò dava il la, bastava uno sguardo, un tempo e uno attaccava subito. Era un signore vero, una persona garbatissima, gradevole, senza intolleranze. Ho lavorato con tanti attori, specialmente americani, che m’hanno fatto disperare, sempre isterici: se c’era il primo piano, ti giravano per metterti di spalle. Totò invece era uno che ti aiutava e basta. Il clima durante la lavorazione si può immaginare: simpatico, non c’era mai un filo di tristezza, preoccupazioni o problemi. Camillo Mastrocinque lo dirigeva sapendo benissimo che con lui bisognava aspettarsi dei cambiamenti nel corso della scena. Era un regista raffinato, una persona dolcissima, che aveva fatto tanti film con Totò, ed era un suo grande amico. Totò lavorava soltanto con gli amici: non negava la possibilità ad altri attori di lavorare, però si contornava di amici anche perché aveva voglia di stare a suo agio, tranquillo, senza patemi d’animo... Ricordo che mi ha portato due volte a cena; amava sempre durante il film fare queste cene tutti insieme al Grill del Grand Hotel. Non parlava quasi mai di lavoro, ed era divertentissimo, anche se c’era sempre un filo di malinconia; non era un mattacchione, ma nel corso della serata quelle quattro o cinque risate vere te le faceva fare.
Franco Interlenghi
Discutendo con Andrea Camilleri su Totò e Peppino De Filippo, da lui molte volte diretti:
Che cosa volevi intervenire su quei due? Io mi facevo dire supergiuù come avrebbero recitato in scena, stabilivo dove mettere la camera e mi andavo a prendere un caffè.
Camillo Mastrocinque
Cosa ne pensa il pubblico...
I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com
- Divertente film con Totò e con Peppino (i cui duetti sono talora irresistibili), ma forse il personaggio che si ricorda di più è quello di Titina De Filippo, perché bravissima e servita da un ruolo divertente. Il film ha i suoi alti e bassi, scopiazza qua e là (pure - e vistosamente - da I figli del deserto) ma porta a casa un discreto risultato, grazie anche ad un cast di ottimo livello.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Le posate d'argento.
- Tiranneggiato dalla moglie dispotica, Totò organizza un finto rapimento della consorte. Simpatica commedia diretta da Camillo Mastrocinque; il film presenta una sceneggiatura piuttosto curata (sopra la media di molte delle pellicole interpretate da De Curtis) ma il valore aggiunto è costituito dalla magistrale prova del cast, nel quale a sopresa la vera mattatrice è Titina De Filippo.
- Totò finge di essere stato rapito per prendere i soldi della moglie e fare la bella vita. Classica commedia di Totò e Peppino: coppia comica straordinaria (qui con una altrettanto straordinaria Titina De Filippo), divertimento e risate assicurate, gag dal sapore antico ma sempreverdi; e d'altra parte storiella insulsa e scontata, girata senza cura. Comunque godibile.
- Come il bambino che grida “Al lupo”, anche qui Totò, dopo essersela spassata (con Peppino) coi soldi dell’avara moglie (la bravissima Titina De Filippo), fingendo un rapimento con riscatto, quando verrà rapito davvero non sarà più creduto. I due comici sono in grande forma e questo sopperisce a una sceneggiatura spezzettata. Ci sono molti spunti divertenti, alcuni dei quali irresistibili (il rapporto Totò-moglie, quando fanno i ricconi al night, posate incatenate e tagliole nei cassetti messe dalla moglie, il Torchio). Perde qualche colpo nella seconda parte, ma resta notevole.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Il girotondo di Totò e Peppino (incappucciati), per far sembrare che i briganti siano molti.
- Film di Totò caratterizzato da un inizio scoppiettante (la vita con la moglie, l'invito a pranzo di Peppino, il finto rapimento e la fuga al night sono irresistibili) e da alcuni momenti molto divertenti. Sebbene gran parte della pellicola gravi sulle spalle del comico napoletano, va detto che la presenza di Peppino ma soprattutto quella di una Titina de Filippo in forma straordinaria, innalzano il tasso di comicità del film.
- Per spillare quattrini alla moglie ricca ed avarissima, Totò mette in scena il proprio rapimento con la complicità di Peppino, ma i veri banditi non la prendono bene. Pur senza arrivare alla vetta comica della malafemmina, commedia piuttosto divertente anche grazie alla presenza, accanto alla coppia ormai rodata, di Titina, virago attenta al soldo. Certo la sceneggiatura è modesta e gli intermezzi sentimentali degli attori giovani sono da latte ai ginocchi, ma questa non è certo una novità per i film di Totò & Peppino.
- Abbondiamo con le palline! "Adbudandis adbudandum". La cena con le forchette attaccate al tavolo, "E che devo andare in galera io?" "E vabbè, ma tu sei barbiere", "Che specie 'e bestie stanno int' 'a 'stu bosco?". Un rosario di gag verbali irresistibile, secondo solo a quello di Totò, Peppino e la Malafemmena. Il siparietto romantico, sempre attaccato con lo scotch venduto dagli ambulanti, è, tuttavia, meno scipito (questo sì) di quello Teddy Reno/Dorian Gray del sopracitato.
- Meno fastidiosi i siparietti romantici grazie alla capacità di autoironia della Gray e di Interlenghi, è un film che vede assoli di Totò e Peppino assolutamente strepitosi. Un inno al buon vivere alla facccia della tirchieria, rappresentata dal volto ossuto e dalla grandezza recitativa della grande Titina. Tra tutte la scena del bosco, dove Totò e Peppino spaventano Titina facendo i versi di animali notturni; immortali le facce di Peppino! Grande anche la diretta televisiva dove i due sfottono la consorte di Totò. Finale tirato via ma non importa.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: I versi nel bosco; "Moglie mia non so dove sei ma dovunque tu sia bevo alla facciaccia tua". La banda di Ignazio il torchio gabbata dalle carte di Totò.
- Film abbastanza divertente, in cui la sceneggiatura sconta il dazio della solita storia sentimentale tra "i giovani" che si svolge in parallelo a quella dei protagonisti del titolo; qui Totò sembra tormentare sul serio il povero Peppino (forse la gag del dondolo non è finta...) il quale se la deve vedere anche con la bravissima sorella, vera arpia che quando si unisce ai due dona sostanza alla pellicola. Grandi come al solito anche i caratteristi. Con alcune scene si ride automaticamente.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La cena con l'ospite che deve portare qualcosa; le posate incatenate; questa è... questa è... Peppino balla! Al ristorante, chiamare un cameriere...
- Totò e Peppino all'apice dell'affiatamento e della forma comica, irresistibili in tantissime occasioni e capaci di non far pensare a una sceneggiatura non troppo uniforme. Anche i comprimari sono di gran classe, soprattutto Titina De Filippo e Memmo Carotenuto, eccezionale Ignazio detto il Torchio. Il ritmo è svelto, con qualche inutile intermezzo romantico o musicale, ma che nulla toglie a un film tra i più divertenti del cinema italiano.
- Il sodalizio continua con risultati sempre piacevoli. Nonostante lo sviluppo narrativo sia leggero, si assiste a ottimi momenti ridanciani in cui i due protagonisti sono affiancati da un'efficacissima Titina burberamente simpatica. Meno spazio alla Gray e una nuova lettera memorabile.
- Prove generali del trio Totò/Peppino/Mastrocinque per il successivo Totò, Peppino e la... malafemmina che perfezionerà molte delle situazioni già presenti in questo film. E anche se non ha avuto lo stesso successo è comunque un buon film, con molte gag ottimamente riuscite e la coppia comica in grande spolvero. Ciliegina sulla torta la presenza della De Filippo, capace spesso di rubare la scena al "marito" e perfettamente inserita nel contesto generale. Senza dimenticare l'eterno Castellani e Memmo Carotenuto.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: I versi nel bosco di Totò ma soprattutto di Peppino; La figlia dalla scale cerca di far capire a Totò appena arrivato che la moglie sa tutto.
- Nato sulla scia del successo della Malafemmina, riesce in più di una situazione a bissare gli episodi comici e divertenti tra i due attori napoletani, a cui si aggiunge una bravissima Titina De Filippo e un simpatico Memmo Carotenuto. Tuttavia, la storia parallela tra la figlia e il giornalista è stancante e assai noiosa, come tutti i momenti in cui Totò e i De Filippo non sono in scena.
- Tra i migliori in assoluto di Totò in duo con Peppino De Filippo, per me addirittura preferibile al più blasonato la malafemmina. Anche la sottotrama che vede i giovani alle prese con la nascita del loro amore è meno fastidiosa e meglio intersecata del solito. Tante le gag verbali (la cena al ristorante) e mimiche (la messa in scena del rapimento) da antologia. Menzione d'onore anche per Titina, la moglie tirchia e severa di Totò, che spinge anche la figlia (e lo spettatore) a simpatizzare di più col cialtronesco padre.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Ma come, ti invito a cena e tu porti da mangiare solo per te? Io ci metto i famosi antipasti di mia moglie" (un piatto vuoto con tre olive al centro).
- Divertente commedia di Mastrocinque con due grandi protagonisti. Totò e Peppino se la intendono a meraviglia e portano avanti da soli un film dalla sceneggiatura a tratti risicata (Totò simula il proprio rapimento per arricchirsi coi soldi della moglie...). Molto convincente anche la prova di Titina De Filippo e di Franco Interlenghi (specie nell'ultima parte). Riuscito.
- Formula vincente non si cambia, avranno pensato gli autori di un record d'incassi come Totò, Peppino e la... malafemmina, ed infatti qui troviamo ancora una volta l'allegra coppia di eterni comici, nuovamente alle prese con una biondissima Dorian Gray ed uno smielato Teddy Reno, tra fugaci giornate da nababbi improvvisati e scatenati gozzovigliamenti in night-club di lusso. Titina De Filippo, austera matrona spilorcia e carceriera dell'economia famigliare, tiene testa in modo deciso alle irrefrenabili smanie mimiche di un Totò alla disperata ricerca della sua costosissima ora d'aria...• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Totò a Titina: "Lasciami parlare! Se non ti sbrighi, un giorno di questi ti vedi arrivare a casa un orecchio! Quell'orecchio sono io, in persona!".
- Spassosa commedia con tre assi nella manica come Totò, Peppino e Titina De Filippo: quest'ultima veramente in forma strepitosa tanto da sembrare a volte lei la vera protagonista, e non a caso i duetti migliori sono quelli fra lei e Totò. La pellicola scorre assai bene e ci sono alcune gag memorabili che dopo tanti anni sono fresche e gradevoli. Bene anche gli altri attori: Interlenghi, Casilio, Carotenuto, Gray e in un piccolo cameo Teddy Reno.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Le posate d'argento legate al tavolo; Titina che porta 5 milione di lire al pozzo dove l'aspettano Totò e Peppino.
- A mio modesto parere il miglior film comico di Totò, che può interagire con Peppino e Titina, suoi amici d'infanzia e fra i più grandi comici italiani, che ben si adattano al ruolo di insuperate spalle. Per fortuna la sceneggiatura è poco più che un abbozzo e lascia libero sfogo all'immenso talento nell'improvvisazione dei tre protagonisti. Senza i siparietti melensi sarebbe stato da 5 pallini, ma anche così rimane una fondamentale e un'imperdibile pietra miliare del cinema italiano. Obbligatorio!• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La scena dell'invito a pranzo a Peppino è un capolavoro di arte comica: impossibile non ridere.
- Un "Totò e Peppino" di assoluto valore, miscela comica di nitroglicerina che esplode mandando in pezzi il mondo della logica. Totò vuole spillare un po’ di milioni all’avarissima moglie per passare una settimana di bagordi a Roma e così si mette in combutta con Peppino, il barbiere del paese... La misera sceneggiatura, piena di buchi e alquanto sconnessa, viene impreziosita dal consueto ricamo di scene e scenette nelle quali i due grandi comici palesemente improvvisano seguendo l’uzzolo buffo del momento. Teddy Reno frena il ritmo del film.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Titina De Filippo é una moglie tirchia di arcigna efficacia espressiva.
- In commedie di questo tipo poco conta la trama, quello che va apprezzato è il valore indiscutibile degli attori, che con la loro interpretazione, ricca di improvvisazioni, rendono gradevole il racconto. Su Totò c'è ben poco da dire ormai: in questo caso il binomio con Peppino De Filippo è particolarmente riuscito e una nota di merito va a Titina De Filippo, che interpreta alla grande la moglie avara. Vecchie, care commedie italiane: non stancano mai!• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Le imitazioni dei versi degli animali nel bosco.
- Stupendo sodalizio Totò-Peppino diretti, (a memoria) dal buon Mastrocinque. Le battute si moltiplicano, ubriacano, soddisfano completamente gli amanti della coppia più comica del cinema italiano, nessuno si senta escluso. I comprimari stanno a guardare compiaciuti. Film impreziosito dalla presenza di Titina De Filippo che ben affianca il Principe.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Un rospo, una P, due rospi si scrive con due P".
- Film abbastanza spassoso, forse troppo oscurato dal più celebre Totò, Peppino e la malafemmina. Totò e Peppino, ormai collaudati, danno vita a siparietti divertenti. In più si aggiunge Titina De Filippo, moglie tiranna e avarissima. Risultano un po' meno briose le scene dove vi è Totò senza Peppino e senza Titina (la parte del vero sequestro, per esempio). Comunque un film da vedere per passare un'ora e mezza di allegria e spensieratezza.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La cena a casa di Titina con le posate incatenate, Totò e Peppino nel night a Roma.
- Immenso Peppino, spettacolare Totò, gran professionista Memmo Carotenuto. Titina, tornata alla comicità, con cui inizia la sua carriera sin da piccola, è tirata dentro un po' per forza risultando perfetta nella parte della vittima della banda del Torchio, ma meno credibile da quando comincia l'atteggiamento vendicativo dopo la scoperta della truffa, forse eccessivamente da avanspettacolo (sia pur detto con tutto il rispetto). Lei non faceva volentieri il cinema e lo si vede benissimo. Spiccano i costumi incongruenti della Gray.
Le incongruenze
- Nella scena del tabarin, Totò urta un cameriere che rovescia una grossa coppa di panna montata sul frac di Peppino. Questi si pulisce sommariamente col tovagliolo ed ovviamente il frac rimane vistosamente sporco, ma quando i due in seguito si affacciano alla ringhiera del palchetto, il frac è di nuovo perfettamente pulito.
- In casa di Totò dal salone si puo entrare anche in cucina ma quando lo fanno (in svariate occasioni) si nota che non entrano da nessuna parte, come se ci fosse un paravento, infatti nelle inquadrature immediatamente successive all'ingresso in cucina, si può vedere un grosso mobile che si dovrebbe vedere anche dall'altra stanza.
- I famosi antipasti della moglie di Totò consistono in tre olive, la scena in cui Totò ne mangia una all'insaputa della moglie è ripetuta due volte.
- Totò va a trovare la prima volta Peppino al lavoro (barbiere). Quando Totò entra, Peppino ha un attrezzo del mestiere in mano che non e' più lo stesso nel cambio d'inquadratura.
- Il gufo che fa i bisognini in testa a Totò nella scena del riscatto e' chiaramente finto e mosso da fili.
- Totò torna a casa dopo il finto rapimento, all'ingresso fa cadere una grossa brocca di rame, poi si siede cominciando a dare farneticanti spiegazioni alla moglie, per qualche inquadratura la brocca e' sempre in terra poi improvvisamente sparisce.
- Il "Torchio" (Memmo Carotenuto) spiana le carte del mazzo "fatato" sul tavolo con un movimento da destra verso sinistra; quando fanno vedere il primo piano delle carte si nota che le carte sono disposte in modo non logico rispetto al movimento fatto in precedenza. (Le carte devono sovrapporsi tutte nello stesso senso o al massimo essere staccate, ma mai nel senso opposto da qualsiasi parte sia l'inquadratura).
- Quando Totò e Peppino organizzano il falso rapimento si vede che il labiale di Totò è costantemente fuori sincrono con il doppiaggio. Non si può obiettare che sia un errore di sincronia generale della scena dovuta all'operatore perchè nella scena Peppino è perfettamente "sincronizzato".
- Quando Totò sta nel negozio di Peppino domanda "E' nuovo quel calendario?" e Peppino risponde di Si. Ma il film si svolge a fine autunno; questo lo si capisce quando il professore a cui l'aiutante di Peppino ha tagliato i capelli dice "Adesso andiamo incontro all'inverno..". Pertanto il calendario non poteva essere nuovo...ma aveva almeno 8 9 mesi.
- Quando Totò e Peppino scrivono la lettera minatoria, Totò afferma di aver ritagliato dal giornale 10 lettere ' o '. Però se si rilegge il testo della lettera, vi sono molte più lettere ' o '.
- Quando il giornalista apre la porta e trova la lettera minatoria conficcata in essa, la lettera è piegata, mentre quando la legge essa è arrotolata.
- La lettera conficcata con un pugnale nella porta dovrebbe avere un taglio, ma quando viene aperta si vede che è intatta.
- Il giornalista toglie il pugnale dalla porta e lo tiene in mano insieme alla lettera, ma nel cambio di inquadratura ha in mano solo la lettera.
- La scena si svolge sul ponte dove Totò pensa di incontrare Peppino per inscenare il secondo finto rapimento, mentre ha davanti a sè il vero Torchio (Memmo Carotenuto). Dopo che Mimmo Carotenuto dice "quei cinque milioni spettavano a Me, a Ignazio il Torchio" viene fatto un primo piano sulla pistola (mentre dice "cammina o ti faccio fuori") si vede il giubbotto del Torchio abbottonato mentre nella scena precedente ed in quella successiva è sbottonato.
- Mentre rileggono la falsa lettera per la richiesta del riscatto, appena realizzata ritagliando le lettere del giornale, Totò rimprovera a Peppino di aver scritto "rospi" con due "P". Però quando la lettera viene "recapitata" a casa di Totò e il fidanzato della figlia la apre (e viene inquadrata in primo piano), la parola "rospi" è scritta in maniera esatta, con una sola "P".
- Quando la falsa lettera con la richiesta del riscatto, realizzata dai due protagonisti usando ritagli di giornale, viene inquadrata in primo piano, si vede chiaramente che la parola "rospi" è composta da un unico pezzo. Come logica la parola avrebbe dovuto essere composta da singole lettere attaccate una accanto all'altra; tanto più che a un certo punto del film Totò rimprovera Peppino per aver "scritto" male proprio quella parola. Probabilmente quelli della produzione del film non si sono preoccupati più di tanto nel rendere verosimile la lettera, dato che si notano anche altre parole composte da un unico ritaglio, anche se con vari caratteri.
- Avvertito dalla figlia che la moglie è al corrente del falso rapimento, Totò si appresta a scrivere il telegramma da mandare al barbiere per interrompere il secondo rapimento che dovevano inscenare. Per scrivere il telegramma, Totò appoggia il cappello su di una "alzata", al centro tavola, ed il cappello sporge, leggermente, verso di lui. Ma dopo uno stacco, quando la m.d.p. inquadra ancora Totò, il cappello ha una posizione più centrata, rispetto a prima, senza che nessuno l'abbia toccato.
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Totò, Peppino e... ho detto tutto (2001)
Riferimenti e bibliografie:
- "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
- "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
- "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
- "Totò: principe clown", Ennio Bìspuri - Guida Editori, 1997
- "Totò e Peppino, fratelli d'Italia", (Alberto Anile, Pablo Escobar), Einaudi, 2001
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- Morando Morandini, 1956
- Vice, «Il Popolo», 21 dicembre 1956
- Vice, «Il Tempo», 31 dicembre 1956
- Vice, «Il Messaggero», 31 dicembre 1956
- Mosca, «Corriere dell'Informazione», 1 gennaio 1957
- Vice, «Momento Sera», 1 gennaio 1957
- Arturo Lanocita, «Corriere della Sera», 6 gennaio 1957
- «Cinema Nuovo», anno VI, n.99, 1 febbraio 1957
- «Il Messaggero», 10 febbraio 1957
- Vittorio Bonicelli, «Tempo», 12 febbraio 1957
- l.p. (Leo Pestelli), «La Nuova Stampa», 21 febbraio 1957
- «L'Unità», 23 novembre 1979
- «L'Unità», 27 novembre 1993